Bahrain, è un caso politico: “I soldi vincono sui diritti umani”
martedì 7 giugno 2011 · Politica
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Il fronte dei ribelli ha già minacciato: il 30 ottobre, se davvero verrà recuperato il Gran Premio del Bahrain come ha stabilito il Consiglio Mondiale, a Manama sarà il “giorno della rabbia”. Jean Todt precisa che la Fia continua a monitorare la situazione e che “se ci sarà una prova evidente di rischio” riprenderà in considerazione l’annullamento. Intanto la Formula 1 con l’affare del Bahrain si sta giocando la faccia a livello internazionale.
Dietro il recupero della corsa c’è un caso politico con cui squadre e piloti non vogliono sporcarsi. E il nodo non è la sicurezza. Mark Webber dice quello che tutti pensano e che nessuno ha detto ancora: “L’organo di governo del campionato poteva mandare un messaggio chiaro sulla posizione della Formula 1 in merito ai diritti fondamentali. Invece ha seguito interessi diversi“.
Il circus in pratica fa il gioco del regime. Max Mosley già l’aveva anticipato la settimana scorsa. Adesso aggiunge: “La corsa sarà strumentalizzata da un regime oppressivo per mostrare che il Bahrain è un posto felice, un Paese in pace. Se la Formula 1 accetta questo ruolo, diventa strumento di un governo che usa le armi contro dissidenti non armati”.
Perché nel frattempo, mentre la Fia sblocca l’impasse, le repressioni in Bahrain continuano. Lo riferisce Alex Wilks, il direttore di Avaaz, l’organizzazione indipendente che difende i diritti umani in tutto il mondo: “Le truppe governative continuano a sparare sulla folla e a compiere arresti. Lunedì, 47 persone tra medici e infermieri che si occupavano dei soccorsi ai feriti sono stati fermati dal tribunale militare con l’accusa di voler rovesciare la monarchia”.
Sul sito di Avaaz in prima pagina c’è l’appello per dire no alla Formula 1 “nel sanguinario Bahrain”. La Federazione si giustifica e cita l’avallo dell’Istituto Nazionale del Bahrain per i diritti umani. Che però è vicino al governo e quindi non è un organismo del tutto imparziale. Avaaz rivela che “dalla Fia nessun’altra organizzazione presente sul territorio è stata contattata”.
Per cui a questo punto “sta alle squadre boicottare la corsa. I soldi – chiude Wilks – hanno vinto sui diritti umani e sul buon senso. Red Bull, Ferrari, McLaren e tutti gli altri team sono corresponsabili del bagno di sangue”.
C’è un passaggio del comunicato della Fia in cui il Consiglio Mondiale scrive che “il forte sostegno al Gran Premio arriva da tutti i partiti del Bahrain, compreso anche il gruppo principale di opposizione”. Sul Daily Telegraph risponde Hugh Robertson, il Ministro dello Sport nel Regno Unito: “Potete immaginare perché. L’opposizione sta programmando delle proteste intorno alla corsa, quindi vuole che si vada avanti”.
E anche sull’unanimità dell’okay del Consiglio Mondiale c’è perplessità. Domenica un portavoce della Fia non ha confermato la modalità di votazione. Perché forse il conteggio formale non c’è mai stato. E qualcuno non era d’accordo che si tornasse a Sakhir.