Piloti, che cervello: è la scienza che lo dice. I risultati dell’Università di Pisa
martedì 26 aprile 2011 · Esclusive
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È il risultato di una ricerca tutta italiana, già premiata in ambito internazionale: il cervello dei piloti ha una marcia in più e funziona con più efficienza rispetto a un individuo comune: “Un po’ come avere una macchina da corsa che, a parità di velocità massima, consuma meno delle altre”.
A F1WEB illustra metodi e risultati Giulio Bernardi, dottorando in Neuroscienze presso l’Università di Pisa, che per oltre due anni ha portato avanti lo studio dei meccanismi cerebrali dei piloti professionisti, in collaborazione con il Laboratorio di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica del professor Pietrini, le strutture di Formula Medicine del dottor Ceccarelli, il Dipartimento di Medicina Interna dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e il Laboratorio di Risonanza Magnetica della Fondazione CNR della Regione Toscana “Gabriele Monasterio”.
“Il cervello dei piloti di Formula 1 – spiega Bernardi – lavora in maniera diversa, apparentemente con più efficienza per compiti in cui è necessario avere più reattività motoria o in quelle situazioni in cui dobbiamo integrare più informazioni sensoriali che provengono da punti distanti nello spazio.
L’indagine ha messo a confronto due campioni: da un lato “undici piloti con esperienze in Formula 1 e generalmente anche in altre categorie professionistiche come Formula 3 o World Series”; dall’altro gente comune. “I piloti professionisti erano in grado di affrontare i test usando un minor volume del loro cervello. È stato osservato più volte che persone anziane attivano una maggiore estensione della loro corteccia cerebrale in particolari test cognitivi e questo risultato viene comunemente interpretato come l’espressione di un tentativo da parte del loro cervello di compensare il naturale decadimento funzionale. In maniera analoga ma opposta, probabilmente in virtù dell’intenso e continuo allenamento, il cervello dei piloti appare particolarmente efficiente, tanto da riuscire a superare i test consumando meno carburante”.
Non solo. Nei piloti la comunicazione tra le regioni del cervello sfrutta connessioni funzionali più forti, cioè il funzionamento della rete cerebrale è diverso in termini di quantità di risorse impiegate, ma anche in termini di qualità dei legami. È il frutto dell’allenamento e delle condizioni di lavoro. E i piloti di Formula 1 rappresentano un campione ideale: “I piloti professionisti corrono ad altissime velocità con uno sforzo enorme non solo per il corpo, ma anche per la mente“.
Due le tipologie dei test, su abilità motorie e visuo-spaziali: “Nel primo, i soggetti osservano un semaforo come quello della partenza di una gara e devono premere un pulsante quando passa da rosso a verde. Il secondo test è leggermente più complesso, i soggetti osservano un riquadro simile ad un tavolo da biliardo, con due cerchi di colore diverso in cui alcune palline colorate si muovono in maniera casuale. Bisogna premere un pulsante quando una delle palline passa all’interno di un cerchio del suo stesso colore”.
Oltre due anni per esami, valutazioni e verifiche di affidabilità dei risultati. Ma le prospettive adesso sono interessanti anche per altre discipline sportive e altri contesti: “L’addestramento dei piloti e l’abitudine a elevate prestazioni ha un effetto plastico sul cervello, lo modifica in qualche modo. Ciò dimostra che può risultare molto utile in caso di terapie riabilitative”.