Vettel si ritira, il film della carriera: dagli esordi ai titoli sulla Red Bull (prima del flop alla Ferrari)
venerdì 29 luglio 2022 · Amarcord
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La prima sorpresa del giorno è che Vettel è sbarcato su Instagram. La seconda è che il primo post annuncia il ritiro dalla Formula 1, l’Aston Martin gli ha chiesto di sciogliere le riserve prima della pausa estiva e pronunciarsi ufficialmente in modo che la famiglia Stroll possa avviare la ricerca di un sostituto.
Esce di sua volontà, quando le circostanze gli stavano indicando comunque la porta d’uscita. Resta il più giovane pluri iridato, che ha riscritto al ribasso il guinness dei primati al punto che nel 2013, all’età di 26 anni e 3 mesi, aveva quattro titoli come Prost, all’età a cui Prost neanche aveva vinto la sua prima corsa.
A tre anni riceve un kart per Natale, a cinque lo porta in pista, a otto debutta in gara per imitare la sorella, a nove ha già una borsa di studio con la Red Bull. Vince un po’ dovunque, nel 2004 in Formula Bmw fa 397 punti su 400 disponibili. La casa tedesca allora gli propone l’apprendistato verso la Formula 1. Lui per tutta l’adolescenza non si stacca mai dal colosso dell’energy drink. E fa benissimo.
Debutta nel 2007 a Indianapolis a metà campionato, in prestito alla Bmw dopo l’incidente di Kubica. Da Budapest in poi è titolare in Toro Rosso dove subentra a Scott Speed. Tempo un anno e incanta a Monza sul bagnato, è il poleman e il vincitore più giovane di sempre.
Il destino è segnato, Mateschitz lo vuole sulla Red Bull e azzecca la mossa: Vettel nel 2010 è campione del mondo, quando ad Abu Dhabi succede quello che nemmeno i bookmakers possono prevedere, il flop di Webber e il suicidio clamoroso della Ferrari con Alonso. Che batte ancora nel 2012, ancora all’ultimo Gran Premio, a Interlagos stavolta.
Le altre due corone le conquista passeggiando, suggella l’apoteosi col trionfo a Nuova Delhi nel 2013, quell’anno diventa anche l’unico che abbia mai vinto nove gare di seguito. E tutte nello stesso campionato.
Praticamente non molla il vertice fino all’avvento dell’ibrido, quando le magagne di Red Bull e Renault lo spingono a cercare aria nuova a Maranello con la rifondazione per mano di Marchionne dopo la cacciata di Montezemolo. Ma tra rimpasti di staff, pasticci tecnici dei progettisti e cappellate sue è una missione a vuoto.
Capisce che è ora di andarsene quando Binotto punta sul pluriennale di Leclerc, allora trova una pensione felice all’Aston Martin. Nel frattempo si avvicina a cause sociali e ambientaliste. Che comunque gli offrono un ottimo spunto per giustificare il ritiro, come alibi alternativo al declino agonistico.