Imola, la storia: la buona parola di Enzo Ferrari, la tragedia di Senna e il grande restauro
mercoledì 14 aprile 2021 · Amarcord
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L’embrione lo pianta un geometra del comune nel 1948, si chiama Alfredo Campagnoli, attraverso l’ente sportivo mette in moto le istituzioni per un finanziamento a fondo perduto di 40 milioni di lire dalla Banca Nazionale del Lavoro.
Tempo due anni e c’è la posa della prima pietra: sotto il monte Castellaccio, tra l’appennino faentino e quello imolese sta per nascere la pista di cui Enzo Ferrari dice subito un gran bene:
Un piccolo Nurburgring, con pari risorse tecniche, spettacolari e una lunghezza di percorso ideale.
C’è anche lui al collaudo, solo due anni e mezzo dopo: girano Ascari, Farina e Villoresi in auto; Lorenzetti, Masetti e Montanari in moto. Il primo esame con la Formula 1 è del 1963, una gara non iridata che vince Clark. Un’altra si tiene nel 1979, è una prova generale in previsione dell’ingresso in calendario.
Che si celebra nel 1980, per gentile e calcolata intercessione di Ferrari, quando Monza cede il Gran Premio d’Italia, prima che gli organizzatori e l’Aci non s’inventino l’escamotage del Gran Premio di San Marino per fare due corse in Italia.
È la gara in cui Villeneuve sfascia la Ferrari alla piega prima della Tosa. Ne esce incolume. Quella diventa la sua curva, poi chicane dopo i fatti del 1994 e la tragedia di Senna a cui il Santerno resta indissolubilmente e tristemente legato.
La seconda ristrutturazione profonda è del 2007, nuovi box e cancellazione della Variante Bassa, vie di fuga in asfalto alla Piratella e alle Acque Minerali. Lì l’autodromo diventa una struttura polifunzionale che vive anche di musica, fiere e congressi. Soprattutto, si rimette in regola coi requisiti tecnici della Fia.
Ma devono trascorrere 13 anni prima di recuperare un Gran Premio, nel 2020 nella contingenza della pandemia da coronavirus, quando Hamilton entra prepotentemente nell’albo di una corsa che ancora gli mancava.