Quella rivolta mai sopita: nuovi disordini e nuove esecuzioni in Bahrain alla vigilia del Gran Premio
mercoledì 12 aprile 2017 · Fuori tema
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È una contrapposizione politica che si trascina da anni, tra maggioranza sciita e minoranza sunnita. La Formula 1 per forza di cose è coinvolta in questo disordine del Bahrain: corre a Sakhir dal 2004, la Fia ha un avamposto cruciale per il Consiglio Mondiale, le squadre ci trovano begli sponsor.
È un equilibrio delicato di soldi e potere, anche più precario dopo le manifestazioni sulla scia della primavera araba del 2011. Precario al punto che quell’anno la corsa ha attraversato un percorso travagliato nelle stanze del potere della Fia: prima sospesa, poi incredibilmente riprogrammata per ottobre, quindi definitivamente cancellata.
S’è tornato a gareggiare nel 2012, in un clima di altissima tensione tra incidenti e cronache ambigue. L’Inghilterra fino all’ultimo aveva chiesto lo stop, Ecclestone e la Fia professavano fiducia, di quelle rassicurazioni evidentemente non si fidavano i giornalisti che chiedevano più protezione.
Non s’è mai placata del tutto la rivolta, ma l’attenzione del mondo verso questo conflitto – interno e distante – progressivamente è calata. Adesso il nuovo impulso agli scontri viene dall’esecuzione di tre militanti del partito di opposizione. È successo il 15 gennaio, “un giorno nero per la democrazia in Bahrain” scriveva l’Istituto per i diritti e la democrazia. Il rischio è che l’escalation di violenza porti alla stessa crisi civile che c’è stata in Siria e Iraq, col pericolo che trovi terreno fertile anche l’Isis.
Perciò le associazioni per la difesa dei diritti umani sono tornate a farsi sentire, hanno scritto direttamente a Carey di Liberty Media che a febbraio è subentrato di forza a Ecclestone. Riferiscono di “una situazione allarmante nel paese”, hanno chiesto la “sospensione del Gran Premio” che resta uno strumento prodigioso del governo per un messaggio di stabilità che invece non c’è.