PHOTO CREDIT · Lat Archive
Cosa resterà del 2016
venerdì 30 dicembre 2016 · Amarcord
tempo di lettura: 3 minuti
Prende il titolo e scappa, è Rosberg il personaggio del 2016. Formichina diligente, ragazzo normale e campione misurato. In stato di grazia e stato di culo. Vince, ma ne esce svuotato: molla tutto a cinque giorni dalla consacrazione di Abu Dhabi. Chiude la carriera al vertice e libera un volante caldissimo per il quale telefona chiunque.
Gli scontri di famiglia alla Mercedes. Il primo a Barcellona: dopo il via Rosberg perde velocità sulla mappatura sbagliata, Hamilton l’attacca all’interno, lui stringe, spazio per entrambi non ce n’è, la corsa della Mercedes finisce in una nuvola di sabbia. Per i commissari è incidente di gara. Quello di Spielberg invece no: all’ultimo giro Hamilton acchiappa Rosberg in testa, cerca la mossa per la vittoria e c’è il contatto, Rosberg viene riconosciuto colpevole, Hamilton continua e va a vincere.
L’ascesa di Max Verstappen. Red Bull dopo il Gran Premio di Russia declassa Kvyat in Toro Rosso e promuove Verstappen. Che subito trionfa a Barcellona, brucia tutti i riferimenti statistici per età, è più giovane anche di chi vince in GP2 e GP3. A fine anno risulta il più attivo nei sorpassi. Ma la sua stagione non è solo lodi e show: sbatte in qualifica a Montecarlo, è folle in difesa estrema a Spa. Al punto che prima della fine dell’anno la Fia sotto pressione – soprattutto di Vettel e Raikkonen – mette al bando quella manovra del passettino in frenata.
La regressione della Ferrari. L’anno scatta coi proclami di Marchionne, poi la rossa comincia a patire le noie tecniche, il muretto a sbagliare impietosamente le strategie. Il nervosismo si fa sentire: a luglio esce Allison, Vettel dopo il Canada ottusamente se la prende con la stampa, la Gazzetta gli risponde a tono. Cioè stupidamente. E Maranello d’estate deve rettificare un commento sospetto di Arrivabene sul rinnovo del contratto di Seb. Baldisserri, che la Ferrari l’ha vissuta vincente, in un’intervista osserva: “Non sono più un team, ma un gruppo di persone spaventate”.
Il debutto al labirinto di Baku. Lunghissima, scenografica e in certi punti strettissima, la pista all’inizio non piace: “Un passo indietro in termini di sicurezza”, l’affondo di Button. Ma Baku oggettivamente segna un nuovo successo politico e commerciale della Formula 1 globalizzata che va a correre dovunque.
La (non) riforma delle qualifiche. A tre settimane dal via del mondiale, cambia il formato delle qualifiche: eliminazioni progressive, fino a lasciare solamente due auto in lotta per la pole. C’è malcontento tra team e piloti, la Ferrari può mettere il veto e non lo fa, la novità non piace nemmeno a Ecclestone che ne voleva una più radicale. A Melbourne il copione per lo spettacolo fallisce miseramente. E in Cina torna tutto come prima.
La (non) riforma dei team radio. Quello sulle qualifiche non è l’unico ripensamento dell’anno: a Melbourne entra in vigore un regolamento più restrittivo sulle conversazioni via radio, si può intervenire solo se c’è un problema sulla macchina. A Budapest invece arriva la rettifica, il divieto che valeva dovunque viene meno in pitlane.