L’era dell’ibrido fa un’altra vittima: Ferrari (e Marchionne) cassano Stefano Domenicali
lunedì 14 aprile 2014 · Mercato
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Via Whitmarsh da Woking, via Boullier da Enstone, via Brawn da Brackley, via anche Domenicali da Maranello. Corrono tempi duri, in qualche modo la rivoluzione dei motori si ripercuote sull’organico. Montezemolo da Sakhir se ne andava col cuore a pezzi e una polemica sterile sullo show: “Fa male vedere la Ferrari così lenta”. Ma tuonava: “Le decisioni arriveranno”.
Al tuono, mai Montezuma aveva fatto seguire il temporale. Ma sei mesi fa lo strappo è diventato uno squarcio quando la linea di Domenicali per il 2014 già non camminava in parallelo con quella del presidentissimo.
Ufficialmente sono dimissioni spontanee, comunque guidate. All’incontro di fuoco di venerdì a Maranello c’era Sergio Marchionne che di solito non si muove per niente. Oggi Domenicali dice: “Serviva una scossa, mi assumo di nuovo la responsabilità come ho sempre fatto”. Voleva lasciare dopo il flop di Abu Dhabi nel 2010, quando la strategia suicida di Alonso aveva regalato il primo campionato a Vettel. Restò.
Nel frattempo altri ci hanno rimesso la testa. Nel 2009 Luca Baldisserri; nel 2010 Chris Dyer che di Baldisserri aveva ereditato lo sgabello al muretto; nel 2011 Aldo Costa in concomitanza con una promozione di Pat Fry. Giri di volti, ruoli, competenze: personale dalla McLaren con Pat Fry, Loic Bigois dalla Mercedes, Martin Bester dalla Williams, James Allison dalla Lotus. I nodi, la Gestione Sportiva non li ha risolti. O forse non li ha trovati.
Adesso deve occuparsene Marco Mattiacci, già amministratore delegato di Ferrari Americas. Ha 41 anni, ha cominciato con la Jaguar nel 1989, con Maranello lavora da 14 anni. La Fiat ci stava facendo un pensierino per dargli la poltrona di Montezemolo.