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Quando la fortuna aiuta gli audaci: quel trionfo a Zandvoort (l’unico) di Jo Bonnier

domenica 17 giugno 2012 · Amarcord
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Muore quarant’anni fa, di notte, contro un albero alla 24 Ore di Le Mans, Joakim Bonnier. Gli amici l’hanno sempre chiamato Jo, gli italiani Barbita per il pizzetto. Ricco, svedese, figlio di un professore di genetica di fama internazionale, studia a Oxford, impara sei lingue, ma a diciotto anni scappa di casa per correre a livello agonistico. Otto anni dopo arriva in Formula 1.

Pochissimi i risultati di rilievo. Rischia già di ammazzarsi a Imola nel 1958 in una prova che non vale per il campionato, viene sbalzato dall’abitacolo della Maserati in una carambola con un’altra auto e finisce in un fosso, contro un palo.

Però quando a Zandvoort si corre il Gran Premio d’Olanda nel 1959, c’è lui sulla macchina giusta, la BRM P25 di Peter Berthon.

È alla sedicesima partecipazione in Formula 1, non è mai stato in testa a una corsa, è arrivato solo una volta a punti, nelle altre occasioni quasi sempre s’è ritirato.

Invece a Zandvoort fa la pole position, brucia sul filo di lana le Cooper di Jack Brabham e Stirling Moss.

Al secondo giro cede a Masten Gregory che lo passa però regge solo dieci giri perché il cambio gli impone di rallentare l’andatura. Bonnier nel frattempo deve vedersela con le Cooper e la Ferrari di Jean Behra.

Alla fine taglia il traguardo con 14 secondi di vantaggio su Brabham e quasi un giro su Gregory perché Behra va in testacoda e Moss si ritira per la rottura del cambio. È la prima vittoria. È la fortuna che aiuta un audace.

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