Monza, 90 anni di storia tra successi leggendari e incidenti terribili
mercoledì 18 gennaio 2012 · Amarcord
tempo di lettura: 2 minuti
La chiamano la pista magica, sono passati novant’anni dalla delibera con cui l’Automobile Club di Milano nel mese di gennaio del 1922 avviava i lavori per la costruzione dell’autodromo di Monza che doveva offrire la sede permanente al Gran Premio d’Italia.
Il 28 luglio, sei mesi dopo, la Fiat 570 di Pietro Bordino e Felice Nazzaro collaudava il macadam e il calcestruzzo delle curve di Monza; Bordino pure il primo vincitore, il 3 settembre dello stesso anno.
La lunghezza totale nel frattempo veniva ridotta da 14 a 10 chilometri dopo l’intervento del sottosegretario alla Pubblica Istruzione per salvaguardare i valori artistici e paesaggistici. Ad ogni modo, rispetto al progetto originale erano sopravvissute le soprelevate. Che diventano un simbolo. Come quelle di Indianapolis.
Passano gli anni e le emozioni si intrecciano, fra imprese leggendarie e assurde tragedie. Nel 1924 il conte polacco Louis Zborowski è la prima vittima. Nel 1928 muore anche Emilio Materassi che nell’impatto falcia 27 spettatori. Cinque anni dopo scompaiono Giuseppe Campari, Mario Borzacchini e Stanislas Czaykowski.
È un prezzo troppo alto: Monza cambia, rinnova la pavimentazione, riconfigura il percorso, spezza il ritmo sul giro e abbassa drasticamente le velocità. Non basta perché il 26 maggio 1955, alla vecchia curva del vialone, Alberto Ascari viene sbalzato dall’abitacolo e muore sul colpo, forse per schivare un operaio.
La Formula 1 perde ancora von Trips nel 1961, Rindt nel 1970, Peterson nel 1978. Ma è anche altro, Monza: è l’epico trionfo di Nuvolari che dolorante vince in sella alla Bianchi 350 nel 1925, è lo spericolato successo di Fangio sulla Maserati nel 1953, è la straordinaria rimonta di Clark nel 1967, è la doppietta nostalgica di Berger e Alboreto a pochi giorni dalla scomparsa del Drake nel 1988. Soprattutto, è l’incontenibile marea rossa negli anni di Schumacher.