Colori di gara, leggende e numeri che non tornano: ecco una curiosità per ogni squadra di Formula 1

martedì 11 marzo 2025 · Dal paddock
tempo di lettura: 4 minuti

Il ruolo delle Alpi nella storia dell’Alpine, la prima Aston Martin, ma anche le gare senza la Ferrari e un retroscena sui colori di McLaren e Mercedes: una curiosità (o più di una) per ciascuna delle squadre al via del mondiale.

Alpine. Il fondatore è Jean Redelé, che nel dopoguerra gareggia nei rally con una Renault 4CV, per la quale gestisce anche una concessionaria. La vittoria alla Coppa delle Alpi del ’54 gli ispira il nome del marchio. Che è proprio la Renault a rilevare nel ’73.

Aston Martin. Ci prova come costruttore già fra il 1959 e il 1960: dura solo sei gare prima di arrendersi ai risultati. La prima monoposto comunque non è male: due anni prima, la DBR4 nei test privati fa i tempi della Vanwall, ma il team la tiene troppo tempo in casa e quando la caccia dal box ormai è obsoleta.

Ferrari. È il marchio più longevo della categoria, con partecipazione fissa dal 1950. Tutte le stagioni, ma non tutte le gare: si contano 27 assenze, vuoi per scioperi sindacali, vuoi per impreparazione tecnica o per lutto.

Haas. Sembra incredibile, ma nell’almanacco della Formula 1 c’è anche un’altra Haas, solo omonima: è quella che gareggia negli anni Ottanta, la fonda Carl Haas, un impresario di Chicago che si era fatto un nome vendendo ricambi per auto dalla casa dei genitori, arrivando a fondare anche un’altra squadra separata, per le categorie americane, in sodalizio con Paul Newman.

McLaren. L’arancio papaya risale ai tempi della fondazione della squadra, non è associato né agli sponsor, né alla nazione: semplicemente è quello che Bruce McLaren aveva scelto alla fine degli anni Sessanta perché meglio risaltasse in televisione coi nuovi apparecchi a colore.

Mercedes. E sempre in tema di colori, la storia sull’orgine dell’argento – che sarebbe affiorato scrostando la vernice su ordine di Alfred Neubauer per rientrare nei limiti di peso al Nurburgring nel 1934 – è probabilmente una delle leggende metropolitane più radicate dell’automobilismo sportivo: non esistono immagini a riprova che le macchine siano mai state bianche; oltretutto la corsa adotta le regole della Formula Libre, senza limiti di peso.

Racing Bulls. Formalmente la più giovane, perlomeno come denominazione ufficiale, sebbene nella sostanza sia la squadra B della Red Bull dal 2006. E come tale, l’unico fra i team clienti della Ferrari a vincere, a Monza nel 2008 con Sebastian Vettel, all’epoca della Toro Rosso.

Red Bull. L’energy drink su cui si basa il successo finanziario di tutto l’impero nasce negli anni Ottanta, quando Mateschitz in Tailandia scopre un succo a base di lipovitan, lo fa modificare secondo i gusti occidentali e intravede il piano per la commercializzazione della bibita che diventerà la Red Bull. Fa una fortuna che reinveste soprattutto nello sport, nelle discipline estreme… e nella Formula 1.

Sauber. Il debutto in Formula 1 si deve alla riconoscenza della Mercedes che nell’89 grazie al gruppo di Peter Sauber vince la 24 Ore di Le Mans. Ma nei Gran Premi la Sauber non vince mai da team autonomo. E conta il numero più alto di partecipazioni senza successi.

Williams. La matematica non è un’opinione, ma il calcolo del numero dei Gran Premi della Williams sì, per via del percorso non lineare che ha fatto la squadra, con auto di seconda mano prima di costruire un telaio in proprio e, soprattutto, con il passaggio di proprietà a Walter Wolf nel ’76 prima della rifondazione. Dalla quale, secondo le valutazioni del team, deve partire il conteggio ufficiale.

Autopromozione. Accadde oggi, la Formula 1 in 366 giorni dal 1950 all’era moderna, 270 pagine a prezzo speciale di 15,90 € è il libro di F1WEB.it su Amazon.

Alpine, Aston Martin, Ferrari, Haas, Mateschitz, McLaren, Mercedes, RB, Red Bull, Renault, Sauber, Toro Rosso, Williams,