Origini, curve, altitudine: ecco una curiosità per ogni circuito del campionato di Formula 1

domenica 9 marzo 2025 · Appunti di viaggio
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Dalla baia finta di Miami ai vetri del Viceroy di Abu Dhabi, dall’altitudine di Città del Messico alle luci di Las Vegas, una curiosità (o più di una) per ciascuno dei circuiti del campionato.

Melbourne. Sulla pista di Albert Park già si correva negli anni Cinquanta una tappa fuori dal calendario ufficiale, il rettilineo dei box non esisteva e intorno al lago si girava in senso antiorario.

Shanghai. Il percorso di base descrive la forma del primo ideogramma di Shanghai, ma ci sono nove sviluppi alternativi a disposizione, non tutti omologati dalla Fia.

Suzuka. Già dal 2024, la collocazione tradizionale della gara è stata anticipata dall’autunno alla primavera, per evitare la stagione dei monsoni e ottimizzare gli spostamenti agganciando la trasferta di Shanghai.

Sakhir. Nel 2010 è stato impiegato il layout esteso da 6.3 chilometri, mai più riproposto perché non ha portato niente allo spettacolo. Nel 2020 invece, per una seconda gara in calendario si è gareggiato sul circuito corto esterno.

Gedda. Acceleratore a tavoletta per il 79% della percorrenza, punte da 320 chilometri orari e media sopra i 250: è il circuito urbano più veloce della storia, esattamente come voleva la dinastia saudita. Che nel 2021 ha completato le strutture all’ultimo minuto.

Miami. Doveva essere Biscayne Boulevard la location, è finita invece con l’l’area intorno all’Hard Rock Stadium, una posizione meno scenografica, al punto che l’organizzazione ha pensato che la baia con le barche dei vip andasse comunque allestita, su un parquet di acqua di smeraldo. Fintissima, chiaramente. C’è anche una piccola spiaggia, con sdraio e ombrelloni.

Imola. L’idea del circuito risale al secondo dopoguerra e si deve ad Alfredo Campagnoli, un geometra del comune. Enzo Ferrari ne dice subito un gran bene: “Un piccolo Nurburgring, con pari risorse tecniche, spettacolari e una lunghezza di percorso ideale”.

Monte Carlo. Alle spalle dell’ingresso del tunnel sta nascendo il nuovo quartiere galleggiante di Portier Cove: non è escluso che possa fornire il terreno per uno sviluppo alternativo del circuito del Gran Premio di Formula 1.

Barcellona. Il 9 maggio del 1993 vede il podio con più titoli: Prost, Senna e Schumacher, 14 corone passate e future.

Montreal. L’isola di Notre Dame dove si snoda la pista è artificiale, è venuta fuori nell’ansa del San Lorenzo dove la città ha accumulato la terra scavando i tunnel della metropolitana.

Spielberg. In tutto il calendario, è il circuito con meno curve, otto appena; ma non è il più corto. Si trova dall’altro lato della Murtal Schnellstrasse rispetto alla base aerea che nel 1964 ha ospitato l’edizione di Zeltweg.

Silverstone. Il circuito è il cuore della Motorsport Valley inglese: nel raggio di 90 chilometri ci sono le basi di Alpine, Aston Martin, Haas, McLaren, Mercedes, Red Bull e Williams.

Spa Francorchamps. Il circuito nasce nel 1920, quando viene proposta una pista tra i villaggi termali delle Ardenne. Oggi è lungo la metà della prima versione; e molti villaggi che ancora danno il nome alle curve non li attraversa affatto.

Budapest. Nel 1986, due settimane prima dell’esordio della Formula 1, sul circuito s’è tenuta una gara coi kart, l’ha vinta Roger Taylor, il batterista dei Queen in occasione del concertone al Nepstadion.

Zandvoort. Alcune fonti attribuiscono il progetto della pista a John Hugenholtz, ma in realtà il percorso l’ha impostato Sydney Davis nel 1927 seguendo i profili delle dune e riprendendo una strada costruita dai tedeschi nella guerra.

Monza. I lavori per l’autodromo sono iniziati nel 1922, a maggio dopo l’intervento del ministero della pubblica istruzione a salvaguardia dei valori artistici del parco. In due mesi il percorso era già pronto per il collaudo.

Baku. Per coprire con l’asfalto l’acciottolato nei tratti che aggirano la città vecchia, l’organizzazione stende uno strato intermedio di protezione con una griglia che distribuisce uniformemente i carichi e preserva la pavimentazione. Che entro un mese dalla gara deve essere ripristinata.

Singapore. L’impianto per illuminare il Gran Premio prevede oltre 100 chilometri di cavi. Ci vogliono quattordici settimane necessarie per l’installazione delle apparecchiature, cinque per smontarle e stoccarle.

Austin. La prima curva è cieca, si trova 30 metri più in alto rispetto alla pit lane: un dislivello equivalente a un palazzo di dieci piani.

Città del Messico. L’autodromo si trova a 2200 metri d’altezza, un record. per cui l’aria è più rarefatta e il flusso frontale non ha lo stesso potere di raffreddamento sui freni. Per i motori invece cambia poco: il turbo rispetto all’aspirato risente meno della rarefazione, perché tanto c’è la sovralimentazione del compressore.

Interlagos. La Curva do sol, cioè la curva del sole, si chiama così perché i piloti l’affrontavano con il sole negli occhi all’epoca in cui il circuito misurava quasi otto chilometri e quel tratto si percorreva in senso orario. Ma anche le altre curve hanno nomi originali e fortemente evocativi, come nessun altro circuito al mondo.

Las Vegas. La Strip dove si corre il Gran Premio è la zona più spettacolare della città; eppure, giuridicamente non si trova nei confini della città: per buona parte rientra a Paradise. E tra l’altro, la pista passa anche davanti al Caesars Palace che negli anni Ottanta ha già ospitato due volte un Gran Premio di Formula 1… nel suo parcheggio, su un circuito che dire squallido è poco.

Losail. Come a Sakhir, che pure sorge in mezzo al deserto, la sabbia in pista è un problema: l’erba artificiale intorno al nastro d’asfalto serve a trattenerla quando soffia il vento.

Abu Dhabi. La pista passa sotto il Viceroy, l’hotel a 5 stelle tutto vetri: la pelle sterna è costituita da 5096 pannelli, li puliscono 15 operai che ci mettono un mese. E poi ricominciano.

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