Bianchi, dieci anni dopo: l’amarezza per il rinvio della promozione alla Ferrari, l’incidente fatale e le colpe
sabato 5 ottobre 2024 · Amarcord
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Sarebbe stato promosso alla Ferrari? Sì, assicura Montezemolo, dopo. Può darsi, a giudicare dal percorso che poi ha fatto Leclerc. Fatto sta che quello di Suzuka, per Jules Bianchi è già il weekend della grande amarezza, in cui si fa largo con prepotenza la notizia del passaggio di Vettel a Maranello: “Vedi squadre come Red Bull che promuovono i loro giovani e ti aspetti lo stesso”.
Il 5 ottobre 2014, Bianchi entra in un sonno profondo da cui non esce più, si spegne a luglio l’anno dopo, è il primo decesso di un pilota per un incidente in pista in un weekend ufficiale dopo i fatti di Imola da cui sono trascorsi vent’anni lisci.
Al giro 43 la Marussia numero 17 – quel numero che la Fia, per rispetto, deciderà di ritirare definitivamente dalle assegnazioni – si gira alla curva Dunlop nel punto in cui s’è già schiantato Sutil con la Sauber. I commissari sono in azione con la ruspa, Bianchi va a sbatterci di fianco e subisce un contraccolpo letale.
È passata sottogamba la minaccia del tifone Phanfone che saliva inesorabile dal Pacifico verso il Giappone, non s’è trovato l’accordo né per anticipare la corsa al sabato – come avrebbe voluto pure la Fia, perché altrimenti l’Honda che promuove il Gran Premio avrebbe dovuto rimborsare i biglietti di domenica – né per spostare l’orario della partenza: “Ma è l’organizzazione – riferisce Matteo Bonciani, il portavoce ufficiale della Fia – che decide. Ci sono degli interessi”.
Il risultato è una combinazione critica di acqua e penombra: “Non si vedeva più dove fossero le pozzanghere”, dice Sutil. Ma la condanna non è unanime: “Abbiamo visto cose peggiori”, risponde Hamilton.
L’alba del giorno dopo è quella della caccia alle responsabilità, sulla prassi d’intervento di una gru nella via di fuga, sulla temperatura delle gomme e sulle misure di sicurezza passiva dell’auto, soprattutto quelle elettroniche: la Fia attraverso l’inchiesta ufficiale trova tante concause, nessuna determinante, fa menzione dell’incompatibilità tra il brake-by-wire della Marussia e il sistema che è deputato a spegnere il motore tagliando l’accelerazione.
Ma nel rapporto ufficiale del collegio al quale partecipano anche Stefano Domenicali e Ross Brawn, viene evidenziata soprattutto una responsabilità da parte del pilota “che non ha rallentato abbastanza” in regime di doppia bandiera gialla; e questa, è un’ingiuria per la quale la famiglia avvia un’azione legale a 360 gradi. Perché, in fondo, la Formula 1 resta quel mondo che tende a chiudersi per proteggersi, come ha già ampiamente dimostrato il processo Senna.
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