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Arabia Saudita sotto attacco, ma la gara si fa. Mentre i piloti fino a notte discutono lo sciopero
sabato 26 marzo 2022 · Dal paddock
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Non veniva dalla sua auto, come aveva creduto la Red Bull all’inizio, la puzza di bruciato che Verstappen ha segnalato al box nel corso della prima sessione di prove libere. Scontata, piuttosto, la correlazione con quella nuvola di fumo nero che si vedeva distintamente all’orizzonte dietro i grattacieli del lungomare, per l’incendio di un deposito petrolifero a dieci chilometri dal circuito.
L’Arabia Saudita è sotto attacco dei ribelli Huthi dello Yemen, sono sostenuti dall’Iran – che nega – in questa guerra civile che per l’Onu rappresenta “la più grande crisi umanitaria del secolo”. Rivendicano loro anche l’azione di venerdì. Obiettivi: prevalentemente raffinerie e serbatoi di stoccaggio di carburanti, ma anche strutture vitali come gli impianti di desalinizzazione.
È un conflitto che nasce nel 2015 quando Arabia Saudita e altri otto stati del Medio Oriente si impegnano militarmente nello Yemen contro gli Huthi per ripristinare i vecchi governi. Questioni note, nel quadro di tensioni e innumerevoli criticità di un paese che grazie ai petrodollari si è comprato anche la Formula 1. Ma col missile di venerdì l’evidenza dell’escalation non è più mascherata e lo sport ci fa i conti.
Le squadre allora chiedono garanzie, le autorità assicurano che su tutta l’area della pista sono in azione droni e sistemi di sorveglianza di ultima generazione: “Ci fidiamo, andiamo avanti”, fa sapere Stefano Domenicali. La Fia è con lui: ben Sulayem dice che i ribelli “puntano alle infrastrutture economiche, non ai civili e non alla pista”.
Resta il fatto che gara e campionato sono sponsorizzati dal colosso petrolifero nazionale che ha già subìto diversi raid. Per cui non è escluso che i gruppi armati un pensierino al Gran Premio l’abbiano fatto.
Per questo ai piloti le garanzie non sono bastate, perlomeno non immediatamente: fino a notte fonda è andato avanti il loro meeting negli uffici del circuito, alla ricerca di una posizione condivisa su cui nessuno si sbottona. “Ma siamo allineati”, assicura Gasly alla televisione francese.
C’è l’ipotesi di uno stop, contro la volontà dei team boss e della macchina organizzativa. Comunque poco realistica come prospettiva, precedenti alla mano. Al Nurburgring nel 2013 e soprattutto a Monza nel 2001, pressioni esterne e obblighi di contratto hanno sempre frenato il dissenso. Tranne che nel 1982, in Sudafrica a Kyalami, l’unica volta in cui i piloti hanno seriamente incrociato le braccia perché sul piatto c’erano questioni puramente personali. Finanziarie.