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Fuoco e coraggio: la disperazione di Purley nel rogo di Williamson a Zandvoort
giovedì 29 luglio 2021 · Amarcord
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L’ultimo incontro ravvicinato con le fiamme è di Grosjean a Sakhir l’anno scorso. È una regola del gioco: il fuoco fa parte delle corse. Ma è meno frequente e meno terrificante che una volta.
Tra le vittime degli incendi nei Gran Premi c’è Roger Williamson, alla Tunnel Oost di Zandvoort si ribalta con la March per l’esplosione di un pneumatico, l’auto s’infiamma contro il guardrail, lui è immobilizzato nell’abitacolo.
È il 29 luglio del 1973, sono trascorsi tre anni dall’ultimo decesso nel fuoco, quello di Piers Courage, pure lui a Zandvoort. E in tema di sicurezza s’è fatto pochino.
Si ferma Purley, il suo compagno di marca, cerca di rimettere la macchina sulle quattro ruote, chiede invano altri soccorsi, usa lui stesso l’unico estintore dei commissari che non hanno equipaggiamento ignifugo e non lo sostengono nel disperato tentativo di placare le fiamme. Il veicolo dei vigili del fuoco arriva dopo otto minuti.
Williamson muore asfissiato e carbonizzato, il corpo è crudelmente e cinicamente abbandonato nella carcassa dell’auto anche dopo il rogo, sotto un lenzuolo sudicio mentre la corsa procede con la doppietta della Tyrrell.
A Purley, già paracadutista delle forze armate britanniche, il Regno Unito conferisce la medaglia al valore per il coraggio. Lui commenta:
Non sono un eroe, ho fatto il mio dovere, come quando nello Yemen tiravamo fuori i compagni dai carri armati in fiamme. Chi ha fatto la guerra queste cose le sa, agire non è poesia né altruismo. Un riflesso condizionato, piuttosto.
Più o meno, quanto dice anche Merzario anni dopo, quando salva Lauda dal rogo del Nurburgring: “Una volta sceso dall’auto mi è venuto naturale fare la mia parte”.