La lotta giudiziaria che sta bloccando i lavori del Gran Premio a Rio de Janeiro
giovedì 12 settembre 2019 · Politica
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In principio c’è il tweet di Bolsonaro, a maggio un guanto di sfida a San Paolo, l’annuncio dell’avvio di una procedura per l’assegnazione dei lavori per la costruzione di un autodromo che riporti la Formula 1 a Rio de Janeiro, nella città che l’ha persa trent’anni fa dopo Jacarepagua.
Ma adesso è una questione politica, un braccio di ferro tra istituzioni in cui la Formula 1 c’entra poco. Il bando, per esempio: risponde una sola società e chiaramente si aggiudica l’appalto, di costruzione e gestione per 35 anni.
È Rio Motorpark Holding, fa capo a Jose Pereira che proviene da una serie di affari sul territorio brasiliano, ma pure dal fallimento di una società che deve allo stato 25 milioni di dollari. Non promette bene.
Il punto cruciale comunque è un altro: a luglio la procedura viene congelata dal tribunale che la subordina all’approvazione preliminare di fattibilità da parte dell’agenzia centrale per il rilascio delle licenze. Rischi ambientali, dicono. La città presenta ricorso e lo vince, sostiene che la responsabilità del rispetto delle norme è di chi ha vinto l’appalto.
La macchina si rimette in moto, ma non fa tanta strada perché il tribunale a fine agosto torna sulla questione e decreta la sospensione del contratto, stavolta sulla base di un rapporto preciso dell’Istituto di Ricerca dei Giardini Botanici, dove si parla dei rischi per l’abbattimento di 150 mila alberi nella foresta di Camboata, nell’area dove Rio vuole l’autodromo. Sono i giorni in cui brucia l’Amazzonia, certi argomenti impongono cautela.
Bolsonaro il trasferimento lo voleva già dal 2020, in termini più realistici Rio Motorpark pensa al 2024. Nel frattempo nel calendario dell’anno prossimo c’è ancora Interlagos per l’ultimo anno di contratto, poi chissà. Il Brasile rischia di restare senza il Gran Premio.