Aida, Anderstorp, East London, Watkins Glen e le altre: le piste dimenticate più affascinanti e sperdute

giovedì 11 ottobre 2018 · Amarcord
tempo di lettura: 3 minuti

Impervie, esotiche, anacronistiche e pericolose, sono le piste che la Formula 1 ha dimenticato e che, nel bene e nel male, hanno scritto pagine di storia nell’almanacco dello sport. Da Aida a Zandvoort, in rigoroso ordine alfabetico, le vecchie sedi permanenti più affascinanti e lontane.

Aida. In Giappone, un esperimento commerciale di Hajime Tanaka che investe i proventi dei circoli di golf e adocchia il business di un consorzio sportivo per privati. Il posto è desolato, la regione è accidentata, la Formula 1 non resiste che due anni, nel 1994 e nel 1995.

Anderstorp. In Svezia, è la pista che il paese ha concepito nel 1973 perché Peterson potesse correre in casa. Esce dal calendario proprio quando Peterson perde la vita a Monza, il governo vieta la Formula 1 sul territorio nazionale.

Clermont Ferrand. Il Nurburgring francese, oltre cinquanta curve di saliscendi alle pendici dei vulcani nella regione di Charade dov’è di base la Michelin. La Formula 1 non s’affeziona, usa la pista solo quattro volte negli anni Sessanta.

Digione. In Francia, minuscolo, al punto che nel 1984 per fare un giro sull’asciutto sono sufficienti un minuto e spiccioli, troppo poco per la Federazione che si decide a liquidarlo. È qui che si registra la pole più bassa in assoluto, 58.79 secondi per Lauda nel 1974 sulla versione senza la parabolica.

East London. In Sudafrica, dentro un anfiteatro naturale che dà sull’oceano, esordisce nel 1962, si gareggia su una pista drasticamente accorciata rispetto allo stradale smisurato degli anni Trenta.

Jarama. Madrid vuole un circuito internazionale da opporre al Montjuic di Barcellona, così nel 1968 commissiona a John Hugenholtz una pista a San Sebastian de los Reyes. Il circuito per l’epoca è sicurissimo. Ma strettissimo. L’ultima edizione è del 1981, prima di cedere la tappa spagnola a Jerez de la Frontera.

Kyalami. In Sudafrica, a 25 chilometri da Johannesburg. La Formula 1 per sei anni si tiene alla larga fra il 1986 e il 1991 a causa della politica dell’apartheid, ci torna nel 1992 e trova una pista tutta nuova, perché per fare cassa la proprietà ha venduto alla municipalità i terreni dei box e ha ridisegnato il circuito a sud conservando solo due curve e invertendo il senso di percorrenza.

Mont Tremblant. In Canada, nasce negli anni Sessanta, per creare lavoro e turismo estivo la stazione sciistica di Sainte Jovite in Quebec si dota di un circuito automobilistico sulla sponda ovest del fiume del diavolo. La pista è irregolare, infida, non può durare. Il proprietario oggi è il papà di Lance Stroll.

Watkins Glen. Nei pressi del lago Seneca nello stato di New York, nasce nel 1953 quando Cameron Argetsinger decide di congiungere le stradine locali e sposta le corse in collina dopo un incidente mortale in città. Il disegno è pericolosissimo, subisce una rivisitazione significativa. Ospita venti edizioni, resta indissolubilmente e drammaticamente legato all’incidente orribile di Cevert nelle qualifiche nel 1973 all’entrata delle esse in salita.

Zandvoort. In Olanda, oggi studia il rientro, manca nel mondiale dal 1986, l’anno in cui fallisce la compagnia che gestisce la pista; il circuito sopravvive al tracollo, ma il tratto tra la vecchia Marlborobocht e la Bosuit è soppiantato da un villaggio vacanze.

Anderstorp, Jarama, Kyalami, Watkins Glen, Zandvoort,