Qualcuno s’è piegato, qualcuno s’è ribellato: la storia degli ordini di squadra più clamorosi in Formula 1

lunedì 1 ottobre 2018 · Amarcord
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È una pratica che fa parte del gioco ed è vecchia quanto il mondo delle corse. Il Gran Premio di Russia col sacrificio di Bottas a favore di Hamilton riapre il discorso sugli ordini di squadra che decidono le corse. Qualcuno s’è piegato, qualcuno s’è ribellato. Questi i casi più eclatanti dal 1950 ad oggi.

Reims 1951. Fagioli e Fangio vincono in coppia, ai sensi del regolamento dell’epoca una vittoria viene condivisa quando due piloti – o anche più di due – si danno il cambio sulla stessa macchina. È l’Alfa che dopo 20 giri ordina lo scambio perché l’auto di Fangio fa i capricci. Fagioli ubbidisce, ma è furioso. E lascia la Formula 1.

Monza 1973. Per tenere contatto in campionato, Fittipaldi ha bisogno di un miracolo e dell’appoggio di Peterson. Chapman promette un cartello a favore di Fittipaldi, il cartello invece non arriva. Vince Peterson, si squarcia definitivamente l’equilibrio del team.

Jacarepagua 1981. Ci sono le Williams in testa, il muretto espone il cartello per chiedere lo scambio di posizioni, Reutemann sostiene di non vederlo, rifiuta di lasciare la vittoria a Jones che si ribella e diserta la premiazione sul podio. È un contrasto che avvelena tutta la stagione e costa il titolo al team.

Imola 1982. C’è Villeneuve davanti a Pironi, il cavallino non vuole rischi, allora al muretto spunta il segnale: “Rallentare”. Villeneuve ubbidisce. Pironi no, attacca e va in testa. Spiegherà: “Il cartello significava conservare le macchine con prudenza. Non credo di aver rischiato”. Villeneuve la vive come un tradimento, due settimane dopo si schianta a Zolder.

Imola 1989. Senna e Prost sono in prima fila, si accordano per non darsi battaglia: chi parte meglio ha il diritto di corda in curva. Al primo via comanda Senna. Al secondo via dopo la bandiera rossa invece scatta meglio Prost. Senna l’attacca e se lo beve alla Tosa perché secondo lui dopo la sospensione la gara non ricomincia ma prosegue, per cui il patto non vale più.

Melbourne 1998. Hakkinen fraintende le indicazioni via radio, si precipita ai box per il pit stop, ma non ne ha bisogno. In testa transita Coulthard, poi la McLaren mossa da senso etico ripristina le posizioni con l’ordine di scuderia. Dennis anni dopo svela: “Qualcuno s’era intromesso sulla nostra frequenza”.

Spielberg 2002. Todt frena Barrichello sul traguardo per consegnare a Schumacher la quinta vittoria dell’anno. Il fatto in sé resta impunito, però una sanzione la Scuderia se la prende comunque: un milione di dollari di multa per lo scambio di posizioni sul podio. Barrichello l’anno prima, sempre lì, già ha sacrificato a Schumi il secondo posto.

Interlagos 2007. La Ferrari conduce, fa un gioco di squadra discreto ma indubbio: Massa gira lento quando Raikkonen è nei box, gli concede il margine per rientrare in testa, praticamente gli regala i punti per vincere il campionato.

Hockenheim 2010. La Ferrari chiama Massa che è al comando, gli fa notare che “Fernando è più veloce”, l’obbliga implicitamente a rallentare per lasciarsi passare. È un gioco di squadra troppo scoperto per il quale la Ferrari subisce un’inchiesta che a settembre si chiude con un nulla di fatto e prima della fine dell’anno porta la Fia a liberalizzare gli ordini di scuderia.

Sepang 2013. Non c’è sorriso nella doppietta della Red Bull: il muretto ordina di congelare le posizioni, “multi 21” è il codice che nel gergo del team indica il settaggio conservativo, Vettel invece attacca Webber e va in testa.

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