Legge sul copyright, quel dibattito ideologico e politico sulla regolamentazione della rete
martedì 3 luglio 2018 · Media
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S’è fermata Wikipedia a mezzanotte, è un blocco volontario ad oltranza, è la forma di contestazione della comunità di volontari che si occupa dell’enciclopedia libera italiana a fronte della proposta per la riforma della legge sul copyright a cui sta lavorando la commissione giuridica del parlamento europeo.
È un dibattito articolato, com’è stato per l’attenzione dell’Antitrust sul tema della diffusione incontrollata delle bufale su internet, giocoforza prende connotati politici.
Due i nodi, gli articoli 11 e 13. Il primo dispone che un aggregatore di notizie sia soggetto a riconoscere un emolumento verso l’editore per ogni contenuto del quale dà il link o l’anteprima, lo snippet per usare un termine tecnico. Chi protesta la chiama link tax, ma una tassa non è. Piuttosto, una forma di compenso per un servizio di cui si servono anche Google e Microsoft.
L’articolo 13 invece chiede alle piattaforme di condivisione – Facebook, Instagram, YouTube e tutta la catena – l’installazione di filtri che impediscano di caricare materiale protetto da copyright, in sostanza una misura affinché la condivisione faccia riferimento sempre e solo alla provenienza ufficiale: così nessuno si arricchisce col lavoro degli altri. Per restare nei confini della Formula 1, sta per finire il tempo di chi guadagna con video e immagini senza disporre dei diritti.
In principio fila. Ma sul web, da parte dei colossi che nella riforma intravedono una minaccia, ovviamente c’è ostruzione. E malafede. Prova ne dà il quadro distorto e allarmista che paventa Wikipedia:
Tale direttiva, se promulgata, limiterà significativamente la libertà di internet. Anziché aggiornare le leggi sul diritto d’autore in Europa per promuovere la partecipazione di tutti alla società dell’informazione, essa minaccia la libertà online e crea ostacoli all’accesso alla rete imponendo nuove barriere, filtri e restrizioni.
La verità è che diversamente dall’interpretazione che ne danno proditoriamente certi schieramenti, ideologici e politici, l’Europa non mette in discussione la libertà di scambiarsi idee e contenuti, piuttosto “lo sfruttamento sistematico – dall’editoriale di Daniele Manca per il Corriere – da parte di chi gode di posizioni dominanti sul mercato”. Tipo Google e Facebook che non a caso attraverso Ccia, Computer & Communication Industry Association, fanno lobby e fomentano la rete.
Lo scenario è quel contesto sempre più critico che ha fatto del web un posto selvaggio in tutti i settori. In cui una volta per tutte va sancito il riconoscimento del lavoro intellettuale. Anche quello che viene distribuito online.