Tutta la spy story Ferrari-McLaren, dieci anni dopo: dalla polverina bianca alla morte di Stepney
mercoledì 21 giugno 2017 · Amarcord
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Furto di documenti top secret, spie che tramano nell’ombra, perquisizioni, sostanze sospette. Sono passati dieci anni, è il 22 giugno del 2007 – il caso di spionaggio industriale che ha coinvolto Ferrari e Toyota s’è chiuso da tre mesi – quando esplode la nuova spy story. In proporzioni devastanti.
C’è di mezzo un’altra volta il Cavallino e un’altra volta come parte lesa, l’infedele non è un tecnico qualunque, ma Nigel Stepney che fino al 2006 è stato capo meccanico. La Ferrari non ci mette molto a inchiodarlo: appropriazione indebita di informazioni riservate, passate alla McLaren tramite Mike Coughlan. Pure lui non è uno qualsiasi, è capo progettista dal 2003.
La Ferrari chiede l’intervento della Fia che a luglio archivia con un nulla di fatto. Mosley dice: “Senza prove non eravamo in grado di condannare”. Le prove arrivano quando giustizia e politica si mischiano con le questioni sportive: Alonso ha il dente avvelenato col team, porta in aula materiale scottante. Email, sms.
La Fia riapre il caso, a settembre pronuncia il verdetto definitivo: 100 milioni di dollari di ammenda e cancellazione di tutti i punti. Una batosta o un buffetto a seconda dei punti di vista. Mosley riconosce: “La McLaren andava espulsa”. Todt fa una sintesi con una metafora: “Abbiamo giocato una mano di poker contro avversari che sbirciano le carte”. I piloti invece non vengono toccati.
La McLaren nemmeno presenta appello, Mosley scrive una lettera di scuse che la Fia accetta e gira alla Ferrari. Montezemolo comunque non cancella la rabbia: “Se non ci fosse stato un benefattore che ci avvisava delle fotocopie, la McLaren avrebbe vinto con l’inganno”.
Già, il benefattore, quello della copisteria dove Coughlan mandava sua moglie coi progetti di Stepney a fare le fotocopie come uno studente con le dispense dell’università. Di quel carteggio, Stepney dice: “Qualcuno l’ha usato ben al di là di quello che mi aspettavo. Non mi sento responsabile”.
Dietro l’illecito, il movente della vendetta dopo il trasferimento allo sviluppo performance. Stepney patteggia un anno e otto mesi con sospensione, più 600 euro di multa quando nel processo penale hanno già patteggiato quelli della McLaren, 150 mila euro ciascuno per Taylor, Lowe e Neale, 180 mila per Coughlan.
Le pedine alla fine restano tutte nel giro. Pure Stepney, la mente di tutto, che trova un posto da team manager in Nismo Sumo Power e si ristabilisce in Inghilterra. Dove trova la morte nel 2014 in circostanze drammatiche, col furgone rientra in corsia davanti a un camion che lo travolge.