Operazione Indy: da Ascari a Villeneuve, i big della Formula 1 che ci hanno provato prima di Alonso

martedì 23 maggio 2017 · Amarcord
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Alberto Ascari. Convince Ferrari a iscriversi nel 1952, a Indy quella è la prima e ultima partecipazione del cavallino. Che negli Usa è bellamente ignorato dagli sponsor. Dopo mezzora di corsa cede il mozzo posteriore destro, Ascari perde una ruota e si gira in mezzo alla pista.

Giuseppe Farina. Con lo sponsor dei lubrificanti Bardahl fallisce la qualifica nel 1956, guida una Kurtis Kraft con motore Ferrari. Fa un altro tentativo nel 1957, rinuncia a qualificarsi per problemi di guidabilità, lo spaventa soprattutto l’incidente mortale di Keith Andrews, il suo compagno di squadra.

Juan Manuel Fangio. Floyd Clymer lo sfida a gareggiare all’ovale, con George Walther gli offre 20 mila dollari nel 1958. Lui supera il rookie test sulla Kurtis-Offenhauser, poi nelle prove capisce che comunque non c’è storia e rinuncia.

Jack Brabham. Da campione in carica in Formula 1, partecipa nel 1961 con la Cooper a motore posteriore. Arriva nono, in gara non sale mai oltre il terzo posto. Ci riprova nel ’64, nel ’69 e nel ’70, non arriva più al traguardo.

Jim Clark. È secondo nel ’63, si ritira nel ’64, vince nel ’65 sulla Lotus. Ogni giro in testa vale 150 dollari, lui ne percorre 190 su 200: “Era come giocare con un registratore di cassa. Io facevo un giro e, click, 150 dollari”. Nell’albo del Brickyard, è la prima affermazione di un pilota europeo, la prima di un’auto con motore posteriore, la prima della Ford. Arriva ancora secondo nel ’66.

Graham Hill. Da esordiente si aggiudica l’edizione del ’66, ma ci aveva provato nel ’63 e non s’era qualificato. C’è ancora nel ’67 e nel ’68, non completa la distanza.

Jackie Stewart. Sfiora la vittoria nel 1966, sprofonda al nono posto per un guasto. Lo ferma la meccanica anche nel ’67 mentre è in lizza per il podio.

Denny Hulme. Ci prova cinque volte e non vince mai: quarto nel 1967 – l’anno in cui sarà iridato – e nel 1968, poi sempre ritirato. Non prende neanche il via nel 1970 per ustioni alle mani dopo un incidente nelle prove.

Jochen Rindt. Senza gloria alcuna, si ritira sia nel 1967 che nel 1968. In un’intervista dice: “Ho sempre avuto la sensazione che stessi andando verso il mio funerale”. In un’altra aggiunge: “Se l’ho fatto, è stato solo per i soldi”.

Mario Andretti. Di tutti i big del circo, è quello più fedele al catino dell’Indiana: corre ogni edizione tra il 1965 e il 1994, con l’unica eccezione del 1979. Vince solo nel 1969. Ma sfiora il successo diverse volte, lo manca per episodi sfortunati, al punto che l’America ci vede una maledizione, “la maledizione degli Andretti” che pende pure sugli eredi.

Emerson Fittipaldi. Ridimensionato in Formula 1, riparte dalla Cart e reinventa la carriera. A Indy vince due volte, nell’89 e nel ’93. All’età di 47 anni, un record.

Nelson Piquet. Il più sfortunato, ci prova nel 1992, non si qualifica, si schianta e si frattura le gambe. Nel 1993 entra in griglia, ma rompe il motore.

Nigel Mansell. A 15 giri dalla fine è in testa nel 1993, viene passato da Fittipaldi alla ripartenza dopo una neutralizzazione. L’anno dopo esce per incidente mentre c’è in pista la pace car.

Jacques Villeneuve. Si afferma prima in America e poi in Formula 1: a Indy vince nel 1995, marca un successo clamoroso perché nelle fasi iniziali è due giri indietro. Ma si iscrive anche dopo gli allori della Formula 1: nel 2014 chiude quattordicesimo. È lui l’ultimo iridato alla 500 Miglia prima dello sconfinamento di Alonso.

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