Il ritorno della Formula 1 in Turchia e il futuro della presidenza di Erdogan
sabato 22 aprile 2017 · Politica
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C’era Ecclestone nel paddock al Gran Premio del Bahrain, parlava di geopolitica della Formula 1 e della gestione che ha avuto in mano fino all’anno scorso. Ammette: “Certe volte abbiamo chiesto troppo alle nuove sedi”.
Per esempio alla Turchia, che nel 2011 di fronte alla notifica del raddoppio della quota d’iscrizione al mondiale, lasciava scadere il contratto e rifiutava il rinnovo.
Oggi le trattative con gli organizzatori delle corse le dirige Chase Carey, prima di Pasqua ha incontrato Erdogan a Istanbul per impostare il percorso di rientro della Turchia in Formula 1, sostiene che per grandi linea l’intesa c’è, l’ipotesi è di infilare la gara nel mondiale già nel 2018.
La sede: ovviamente l’Istanbul Park, uno dei lavori meglio riusciti di Tilke, un gioiello perduto che nel 2015 è diventato un punto di noleggio per auto usate. E in qualche modo così s’è salvato perché all’inizio la prospettiva era la demolizione per lasciare spazio all’area fiere.
Il nodo critico resta lo stanziamento dei fondi pubblici per la firma, quelli che Erdogan non aveva ottenuto dal parlamento quando era primo ministro, quando la Fom era ancora di Ecclestone e quando le tariffe erano astronomiche. Oggi teoricamente ha meno vincoli, a Pasqua con maggioranza risicata è passata la riforma del super presidenzialismo che di fatto gli conferisce poteri più estesi e gli offre la possibilità di restare in carica fino al 2034.
Non è sfuggita la coincidenza strategica tra il meeting con Carey e la vigilia del referendum. E la storia dimostra che la Formula 1 è sempre un ottimo strumento di propaganda politica.