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Abu Dhabi, la tigre e la formica: perché (anche) Rosberg merita il titolo mondiale
mercoledì 23 novembre 2016 · Dal paddock
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Dino Chiesa è il testimone di una sfida che parte da lontano, team manager nel 2000 quando le strade di Hamilton e Rosberg s’intrecciano, nel team MBM che Mercedes Benz allestisce con McLaren. Nel 2014, ai tempi dello sgarro delle qualifiche a Montecarlo, raccontava: “Uno ha il talento, l’altro è veloce ma è anche più calcolatore“.
Già, uno la tigre, l’altro la formichina diligente, uno guida col cuore, l’altro con la testa. L’impressione da quando corrono insieme è che Rosberg sia costretto a compensare con una preparazione tecnica maniacale quello che Hamilton riesce a spremere con l’istinto. Come Prost ai tempi della guerra psicologica con Senna.
Eppure, “se vincesse Nico – Aldo Costa al Corriere della Sera – sarebbe meritato comunque. È uno stacanovista che ogni minuto cerca di imparare. Serio, dedicato. Correre contro Hamilton non è semplice. Ma Rosberg è lì, appena dietro o davanti. Anche lui merita il campionato”.
Se non altro come giusta misura di equilibrio in tre anni di dominio della stella a tre punte, perché Rosberg il mazzo se l’è fatto pure lui, nel confronto diretto con Hamilton dal via dell’epoca dell’ibrido fa 20 contro 30 vittorie, 26 contro 29 pole position, 1006 contro 1120 punti.
È il terzo anno di fila che l’iride è un affare privato tra loro. Un record, pure questo.
Nel 2014 Abu Dhabi incorona Hamilton. E per lo sport è un po’ un sollievo perché l’assegnazione del titolo non risente dell’abominio del punteggio doppio che la Fia aveva voluto per l’ultima corsa. Il 2015 invece decide tutto in anticipo, ad Austin la matematica condanna Rosberg mentre Hamilton fa tre come Senna. Adesso le fila le tira un’altra volta Abu Dhabi, al culmine dell’anno con più contrasti. A Rosberg basta il terzo posto.