“Well done Baku”: in Azerbaigian vince la Formula 1
martedì 21 giugno 2016 · Dal paddock
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Il banner sotto le porte della città vecchia è autocelebrativo: “Well done Baku”, se lo scrivono da soli gli organizzatori. La sostanza comunque c’è tutta: “Una pista fantastica – diceva Toto Wolff – che rappresenta ciò di cui la Formula 1 ha bisogno”. Alla maggioranza dei piloti invece non era piaciuta, troppi muri, poche vie di fuga: “Un passo indietro in termini di sicurezza”, l’affondo di Button.
Alla fine non s’è fatto male nessuno, ma qualcuno c’è andato vicino: Bottas sabato mattina in pit lane ha preso una griglia di drenaggio volante, un po’ com’è successo a Button a Montecarlo dopo Santa Devota. E pure sui cordoli c’è voluto un intervento perché le viti sporgevano e tagliavano le gomme.
Sono le falle tecniche di un weekend che comunque rappresenta un successo politico e commerciale della Formula 1 globalizzata che va a correre dovunque. Semivuote le tribune – o semipiene, a seconda dei punti di vista – come i balconi dei palazzi che danno sulla pista. Ma il punto è che ormai il successo si misura soprattutto attraverso una serie di parametri non convenzionali e non direttamente quantificabili.
La risonanza mediatica, per esempio. Perché in tutto il mondo la stampa generalista s’è messa a scrivere dell’esordio della serie regina nella città del vento, a pubblicare le immagini dei bolidi che sfilano dove il medioevo convive col progresso, dove l’Europa incontra l’oriente, dove Briatore ha aperto un altro Billionaire prima di raccomandare l’Azerbaigian a Bernie Ecclestone.
Fin qui le note belle, perché poi dietro i lustrini c’è la questione imbarazzante dei diritti umani. Amnesty International alla vigilia scriveva: “La realtà quotidiana è che le autorità chiudono le organizzazioni non governative e arrestano e minacciano i loro dirigenti”. In pratica il Gran Premio rientra nello schema di propaganda politica di Aliyev per la costruzione di un’immagine sociale e progressista.
Ecclestone risponde che lui ha la coscienza a posto: “Prima spiegatemi cosa intendete per diritti umani”. Nessun team ha mai preso posizione. Del resto, Baku offre un mercato nuovo che promette orizzonti di gloria. Com’è stato per India, Cina e Bahrain che nemmeno brillano per civiltà.