Caccia ai furbi, la Fia tiene d’occhio la pressione delle gomme. Ma non ha i sensori giusti
venerdì 3 giugno 2016 · Tecnica
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La pentola rischia di esplodere. A meno che la Fia non scelga di prendere la strada che suggerisce Bob Bell della Renault: “Tornare a come si faceva una volta, quando non c’erano tanti vincoli sulla pressione delle gomme“.
La questione è nata l’anno scorso, Pirelli ha chiesto alla Federazione di stringere la vite nel timore che certe squadre per recuperare aderenza impostassero pressioni di gonfiaggio troppo basse. In pratica con l’usura la temperatura del battistrada si riduce, per cui l’aria della camera si raffredda e la pressione si abbassa ancora. Con vantaggi di performance, ma col rischio che la struttura non regga i carichi. Di qui la scelta di alzare per regolamento i valori minimi.
A Monza un anno fa il protocollo delle verifiche tecniche è andato subito in crisi perché Bauer ha trovato la Mercedes in difetto e la Fia comunque non è riuscita a condannarla. In otto mesi Place de la Concorde ancora non ha sistemato tutte le zone grigie, però a Montecarlo sotto la spinta della McLaren la Federazione ha chiesto alle squadre di registrare sulla centralina tutti i rilevamenti di pressione. Senza intenzioni giuridiche, o perlomeno non ancora. Piuttosto per approfondire la logica con cui i team stanno lavorando.
C’è il sospetto che qualcuno abbia escogitato un modo per eludere il vincolo, essere in regola con le pressioni nel momento in cui le gomme vengono montate sulla macchina e la Fia legge i dati, dopodiché la pressione in qualche modo scende sotto il valore di soglia. Forse grazie ai cerchi a doppia camera coi quali si riesce a giocare sulla temperatura e di riflesso sulla pressione.
“Chiaramente – sempre Bob Bell – qualcuno sa gestire questo aspetto meglio degli altri. Non credo sia illegale, ma bisogna approfondirlo”. Come chiedeva anche Arrivabene. Perché l’accusa non è esplicita, ma tutti gli indizi portano verso Mercedes e Red Bull.
Perciò la Fia adesso pensa al monitoraggio in esercizio. Che andrebbe effettuato con dei sensori che ad oggi sono “buoni, ma non perfetti” segnalava Pat Symonds della Williams, “per via dell’elettronica su cui si basano” e perché la temperatura a cui dovrebbero lavorare per essere affidabili è più alta di quella per cui sono concepiti. Di conseguenza il controllo ufficiale ancora non può essere regolamentato, ogni verdetto verrebbe contestato e facilmente sovvertito.