Donne in Formula 1: ecco chi ce l’ha fatta. O quasi

martedì 8 marzo 2016 · Amarcord
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Allo stato attuale, illusioni non è il caso di venderne. Prospettive concrete per una donna in Formula 1 non ce ne sono. Qualcosa comunque pareva si stesse muovendo, poi un po’ per scelte personali, vedi Susie Wolff, un po’ per penuria di sponsor, vedi Simona De Silvestro, un po’ perché il destino infausto ha disposto diversamente, vedi Maria de Villota, s’è fermato tutto un’altra volta ed è rimasta solo Carmen Jorda a fare bella presenza nel box della Renault.

Storicamente parlando restano cinque le donne che ci sono riuscite o quasi riuscite, quelle che coraggiosamente sono entrate negli almanacchi superando pregiudizi misogini e sbarramenti sportivi.

Maria Teresa de Filippis. Aristocratica, di Napoli, nel 1958 è lei che porta le quote rosa in Formula 1 al Gran Premio del Belgio. Donna di carattere, in un mondo per soli uomini: “Facevo quello che volevo, ero indipendente per temperamento, educazione e patrimonio. I soldi pagano la libertà”. A Montecarlo non s’era qualificata, a Spa ottiene all’esordio il decimo posto che resta il suo piazzamento migliore. Re Baldovino del Belgio è in tribuna e vuole conoscerla. Le dice: “Signora, lei ha le braccia che sembrano di ferro”. A Reims il mese dopo invece il direttore di gara le rifiuta l’iscrizione: “L’unico casco che una donna deve tenere in testa è quello del parrucchiere”.

Lella Lombardi. S’iscrive a Brands Hatch nel 1974 col numero 208, il più alto che s’è mai visto, la lunghezza d’onda di trasmissione di Radio Lussemburgo che sponsorizza la Brabham. Non si qualifica, però l’anno dopo a Montjuic, nella gara dell’incidente mortale di Stommelen, con il sesto posto sulla March è la prima donna – e al momento anche l’unica – che riscuote punti in Formula 1.

Divina Galica. Disputa le qualifiche di Brands Hatch nel 1976, non entra in griglia ma diventa un personaggio. Viene dallo sci, è stata in Formula 2 e sulle sport: “Ogni sera, quando lasciavo la pista, c’erano dei giornalisti ad aspettarmi. E ogni sera dovevo passare con loro almeno tre ore a parlare di me. Alla fine ero così stufa di raccontare sempre la stessa storia che ne avrei inventata una più interessante”. È negli annali anche perché sfida la superstizione britannica e s’iscrive col numero 13.

Desire Wilson. Viene ammessa sulla Williams alle prove ufficiali di Brands Hatch nel 1980. Per sette decimi resta sotto l’asticella per l’accesso alla griglia. L’opportunità di riprovarci gliela offre la Tyrrell l’anno dopo in Sudafrica, in casa. E la sfortuna di nuovo le volta le spalle, le distrugge la scatola del cambio mentre è sesta.

Giovanna Amati. La Brabham la include nella lista degli iscritti nel 1992. Lei a Kyalami non si qualifica: “Il problema principale che trovo deriva dal fatto di essere al centro dell’attenzione perché sono una donna”. Presto le subentra Damon Hill.

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