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L’abito fa il monaco

domenica 13 settembre 2015 · Dal paddock
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Sempre loro, quelli che fischiavano Schumacher sulla Benetton, Alonso sulla Renault, Vettel sulla Red Bull, oggi Hamilton sulla Mercedes. La valanga di fischi si sposta col colore delle tute. Lo sa pure Lewis che glissa e volta pagina: “Si correva in casa della Ferrari. Non ho sentito i fischi, ma li capisco”.

Non sono gli sputi e le ingiurie del ’76 su Hunt che tornava ai box, restano comunque la nota stonata nel podio di Monza, la reazione antisportiva e incoerente della rossa marea italiota, quest’anima che invade e pervade l’autodromo tra bollori e contraddizioni.

Nasce in fondo da quell’attaccamento cieco ai colori nazionali che travolge e sbilancia pure l’informazione, trasforma ammirazione in venerazione: Vettel è dio in terra, due anni fa era lui il nemico giurato. Con classe, ai fischi di Monza replicò: “Più ci contestano, più significa che siamo stati bravi”.

Michael Schumacher a mezzo stampa gli disse: “Una volta fischiavano anche me. Devi avere la tuta rossa”. Già lo sosteneva Nigel Mansell: “Guidare per la Ferrari è come guidare per il papa”. Monza va dove va il rosso. 

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