Nel 1955 Monza uccideva Alberto Ascari. Quante coincidenze con la morte del padre
martedì 26 maggio 2015 · Amarcord
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Il destino l’ha graziato quattro giorni prima, a Monte Carlo è finito con la Lancia nelle acque del porto, l’hanno salvato i sommozzatori, s’è rotto solo il naso. Alberto Ascari è a Monza il 26 maggio del 1955, su invito di Eugenio Castellotti e Gigi Villoresi che stanno provando la Ferrari 750 Sport per il Trofeo Supercortemaggiore.
Non è previsto che prenda parte ai test, comunque prima di pranzo vuole fare un giro anche lui.
È in abiti borghesi, maniche di camicia e pantaloni ordinari, non ha nemmeno l’elmetto azzurro, il portafortuna di sempre da cui non s’è mai separato per guidare, lui che normalmente è scaramantico e superstizioso all’inverosimile. Glielo stanno riparando dopo il volo di Monte Carlo, rimedia con quello bianco di Castellotti.
Completa due giri. Al terzo esce di strada dopo la vecchia curva del vialone, forse per schivare un operaio. A terra, le tracce di una frenata poderosa.
La macchina si ribalta due volte, Ascari è sbalzato sull’asfalto e resta ucciso: “Perdo – dice Juan Manuel Fangio – il mio avversario più valido”.
Scompare a 36 anni come suo padre, Antonio, che pure era morto di 26, a luglio nel 1925. Le coincidenze sono sorprendenti: entrambi con 13 vittorie, entrambi ammazzati da una curva sinistrorsa quattro giorni dopo un altro incidente, entrambi lasciano una moglie e due bambini. Vicino al padre, è inumato nel cimitero monumentale di Milano, dove ignoti nel 2016 ne trafugano i busti bronzei ai lati del sacello.