Budget-cap, Mosley ci riprova: “Correte con cento milioni”. Implicazioni e retroscena
venerdì 1 maggio 2015 · Regolamenti
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Chi non muore si rivede. E allora “arieccolo”, Max Mosley, sette anni dopo lo scivolone del festino di Londra, sei dopo la caduta dal vertice della Federazione. Ne era uscito con le ossa rotte, le squadre alla fine di una battaglia politica estenuante ne avevano chiesto la testa e l’avevano avuta.
Non era piaciuta la deriva autoritaria della Fia, l’imposizione di un regolamento che ai team stava stretto, budget controllato di 30 milioni di sterline con libertà di progetto oppure, in opzione, libertà di spesa con rispetto integrale delle regole tecniche.
Lui lo difendeva così: “Vogliamo incentivare l’ingegneria brillante. Il successo lo avranno i team con le migliori idee, non necessariamente quelli con più soldi”.
Ma significava correre un campionato a due velocità, uno con le zavorre tecniche, un altro coi vincoli finanziari. Una prospettiva “estrema e irrealistica”, l’aveva definita Oliver Weingarten, il segretario generale della FOTA, in intervista esclusiva su F1WEB.it. Un paradosso che Piero Ferrari spiegava col calcio: “Non sarebbe giusto dire al Catania di giocare con dodici uomini e all’Inter di usarne nove”.
Finì male. Per Mosley. Che adesso quella proposta la rilancia, la sussurra nell’orecchio a chi dopo di lui ha preso in mano il gioco, a Jean Todt che sul fronte della sopravvivenza economica della Formula 1 effettivamente s’è speso poco e ha lasciato che fossero le squadre a dettarsi le regole che hanno fatto chiudere Caterham e Hispania.
“Si può fare motor sport – scrive Mosley su Auto Motor und Sport – e costruire macchine avanzate anche con cento milioni”. Quelli che alla fine s’era convinto a concedere nel 2009 dopo la rimodulazione del progetto.
Sauber e Force India ci stanno, l’hanno già detto via Twitter. I big invece non hanno bisogno di venire allo scoperto perché la loro posizione resta quella di sei anni fa: il tetto di spesa eticamente è inconcepibile nella versione di Mosley. Oggi come allora. Anche perché i costruttori come la Ferrari che prendono sponsorizzazioni milionarie dalle multinazionali devono pure spiegare dove vanno a finire tutti quei soldi.