Senna, 20 anni dopo: il funerale, il popolo, l’illusione della redenzione
giovedì 1 maggio 2014 · Amarcord
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Si sveglia presto il Brasile per il saluto estremo al suo eroe. Non sono ancora le 6 del mattino, è il 5 maggio del 1994. Quattro giorni prima, il muretto della curva del Tamburello di Imola ha ucciso Ayrton Senna sulla Williams. I suoi sono funerali di stato, con salve di cannone, picchetti d’onore, silenzio d’ordinanza e tre giorni di lutto nazionale. Perché il leader deve andarsene da leader.
Viaggia la bara, avvolta nella bandiera del Brasile, su un camion dei vigili del fuoco; otto militari montano la guardia a bordo; diciassette poliziotti precedono il corteo in moto; altri duemila presidiano il percorso. San Paolo è una metropoli da dieci milioni di abitanti, venti se si aggiungono quelli della cintura intorno al centro: tre milioni sono in strada per Ayrton, lungo il cammino di trenta chilometri.
Prima le favelas, poi i grattacieli, quindi le ville delle zone residenziali, fino al cimitero di Morumbi, a due passi dal ghetto dove i poveri dormono sui marciapiedi dentro i sacchi di iuta e vivono riciclando gli stracci.
Forte, intelligente, preciso. Asso e idolo. “Un simbolo – dice Rubens Barrichello – e un motivo di orgoglio nazionale”. È il dio della velocità che sfila lento in mezzo alla sua folla sterminata che s’è mossa in auto, in motorino, in bicicletta, in bus oppure a piedi: neri, bianchi e mulatti; bambini, adulti e anziani; funzionari pubblici che il sindaco ha autorizzato a lasciare gli uffici, ma anche e soprattutto poveri e poverissimi. Chi non scende in strada s’incolla alla televisione e segue il rito in diretta, nel travolgimento di sentimenti che valicano i confini della pista.
Toquinho, che un po’ è l’essenza della canzone brasiliana, ha un buco nell’anima. Nell’intervista al Corriere della Sera dice: “Senza Senna siamo più vuoti e più soli. In un paese come il nostro dove non capitano mai le cose giuste, lui era l’opposto. Era tutto quello che insoddisfazione e frustrazione non sono. C’è qualcosa di triste nella vita. Voglio sognare di avere un altro Senna che torni a farci arrivare primi”. Con Ayrton il Brasile tumula l’illusione della redenzione.