I mille volti della sicurezza passiva: dai guard-rail alle vie di fuga abrasive
sabato 19 ottobre 2013 · Tecnica
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Nella settimana in cui la Formula 1 perde Maria de Villota per i postumi dell’incidente di Duxford del 2012, Giedo van der Garde esce illeso dallo schianto alla prima curva di Suzuka dopo la collisione con le Marussia. Sono due episodi distinti nella dinamica e nell’esito, ma rilanciano lo stesso messaggio: “Motorsport – come dicono gli inglesi e come scrivono gli organizzatori sui biglietti – is dangerous”.
Sotto la supervisione della Fia, di norma la macchina della sicurezza si muove su due fronti: le squadre lavorano sugli abitacoli, sui caschi e in generale sui criteri dei crash test, mentre i circuiti si occupano degli spazi di fuga. Anche questo è un campo dove il progresso negli anni s’è fatto sentire. Tant’è che dopo l’incidente a Dan Wheldon in Indycar nel 2011, la Federazione si è messa a studiare un’alternativa alle reti di protezione che in certi casi costituiscono un rischio.
Resta il fatto che i circuiti che ospitano il mondiale di Formula 1 hanno nature troppo diverse in termini di velocità di punta, accelerazioni e sede stradale, per cui le soluzioni per la sicurezza passiva non sono uguali dovunque.
Craig Moca, del comitato che organizza la gara di Melbourne, a F1WEB.it l’ha spiegato chiaramente: “Ci sono diverse strategie di controllo del rischio che producono comunque un risultato simile. Bisogna tenere conto del fatto che le procedure che si adottano su alcune piste non possono essere utilizzate anche altrove”.
Per esempio alla chicane del porto a Monte-Carlo come pure all’Ascari di Monza si usano le barriere Tecpro, quelle a blocchi in schiuma di polietilene con anima di metallo: “Dove non c’è la possibilità di allungare fisicamente la via di fuga, quelle sono soluzioni accettabili. Altre piste hanno delle alternative che comunque rallentano la macchina prima che arrivi contro una barriera, ma sfruttano processi diversi, per esempio delle vie di fuga più lunghe”.
Una soluzione originalissima nel campo della configurazione delle barriere se l’è inventata il Paul Ricard con le vie di fuga colorate a fasce in materiale abrasivo in sostituzione della sabbia: le zone blu sono quelle all’immediato margine del nastro d’asfalto, danno più grip e frenano le macchine; oltre il blu c’è la cintura rossa a massima abrasività prima del guard-rail. Il sistema si chiama Blue Line e produce un effetto curioso anche dal punto di vista grafico perché il circuito nella vista dal satellite sembra un quadro astratto. Pure l’occhio si prende la sua parte.