PHOTO CREDIT · Red Bull Racing
Il lato sporco della Formula 1 sul web, tra copie pedisseque e falsi scoop
giovedì 25 luglio 2013 · Media
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I punti di riferimento si contano. La maggioranza dei siti internet l’accesso diretto al paddock non ce l’ha, fonda la sopravvivenza sugli altri: notizie d’agenzia e comunicati stampa. Con una distinzione: tra quelli che ragionevolmente elaborano e quelli che remissivamente replicano.
La documentazione è comune, per cui la riproduzione incondizionata e pedissequa genera quella moltitudine di contenuti uniformi che avvelena la rete.
Stessa struttura. Stesse osservazioni. Stesse espressioni. Stesse parole. Anche stessi errori. Traduzioni ordinarie che si moltiplicano. Con orgoglio pure penosamente firmate perché la firma fa sempre scena e autostima.
Dice Google News: “L’originalità degli articoli e l’onestà nell’attribuzione degli stessi sono da sempre valori giornalistici fondamentali”. Chiacchiere: l’indicizzazione evidentemente segue altre regole perché i risultati delle ricerche alla fine premiano chi scrive di più. A prescindere da quello che scrive. Anche se i contenuti sono clonati.
Finisce che dentro questa cassa di risonanza si amplifica anche quello che non dovrebbe amplificarsi. Tipo, bufale incontrollate su temi caldissimi: la sorte di Kubica dopo l’incidente in rally e un’intervista sospetta a Schumacher. Indiscrezioni urlate che spariscono nel nulla: la battaglia sulla legalità della McLaren l’anno scorso. Supposizioni teoriche che il web interpreta come certezze conclamate: il passaggio di Vettel a Maranello con Newey a seguito. La selezione superficiale delle fonti: il caso del fake di Raikkonen su Twitter. La propensione all’invenzione: le fantasie di mercato che fanno indispettire i piloti. C’è del marcio. Non solo in Danimarca.