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Appunti di viaggio: Montréal, il Gran Premio e l’isola che non c’era
sabato 8 giugno 2013 · Dal paddock
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Da Montréal – Arrivano all’aeroporto giovedì sera coi bagagli degli altri passeggeri: cinque scatoloni anonimi, uno di forma e dimensioni inequivocabili, a misura di ala posteriore. L’etichetta è piccola e illeggibile, ma c’è il logo della Red Bull. Sbarca materiale anche per la Williams, un collo soltanto perché il portafoglio fa la differenza, anche nelle spedizioni last minute.
È la prima traccia di Formula 1: significa che il Gran Premio c’è davvero, in questa città multietnica che conta almeno 120 comunità diverse.
Per raggiungere il circuito i modi sono due: in auto i vip col pass della Fom di Bernie Ecclestone, in metropolitana tutti gli altri. Con percorso obbligato: linea gialla da Berri-Uqam, dove si intersecano anche la linea verde e quella arancione, fino a Jean Drapeau sull’isola di Sant’Elena.
Dopodiché si va a piedi. Lo scenario lo domina la biosfera, mega struttura reticolare d’acciaio che Montréal ha ereditato dall’Expo del ’67. Il casinò invece bisogna cercarlo, è enorme ma è nascosto dagli alberi.
Bagarini come funghi, parlano inglese e francese, subiscono pure loro la doppia anima linguistica del Québec. Hanno un raggio d’azione che finisce alla Passarelle du Cosmos, l’altro passaggio obbligato: scavalca il fiume San Lorenzo e immette sull’isola di Notre Dame. Che una volta non c’era e poi è venuta fuori dove la città accumulava la terra che smuoveva per scavare i tunnel della metropolitana.
Dentro i confini del circuito il caffè è gratis e lo offre McCafé. Una Red Bull costa quasi come in Italia. Per un hamberger ci vogliono 5 dollari e mezzo, 8 per un bicchiere di birra, 10 per il programma ufficiale dell’evento. Con 35 si compra la t-shirt del Gran Premio, ma non è che sia proprio irresistibile.