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Gran Premio a Bangkok, la deportanza di Monza con le vie di fuga di Singapore

sabato 27 aprile 2013 · Dal paddock
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Il governo lo voleva nel 2014. Bernie Ecclestone invece lo sposta al 2015, per andare sul sicuro dopo che il New Jersey ad ottobre ha chiesto un anno di proroga rispetto a una pianificazione troppo ottimistica. Il Gran Premio di Thailandia comunque una forma ce l’ha già, sia finanziaria che fisica.

Per il 60 percento – spiegava il Bangkok Post – l’investimento è governativo. Gli altri fondi arrivano da compagnie private, principalmente Red Bull, che con la Thailandia ha un rapporto strettissimo: Dietrich Mateschitz negli anni Ottanta ci scoprì un succo a base di lipovitan, lo fece modificare nella direzione dei gusti occidentali e ne ricavò il business colossale dell’energy drink.

Il tracciato tocca scenari da favola a cui la prospettiva della gara in notturna aggiunge altro fascino: le rive del fiume Chao Phraya, il palazzo reale, il Royal Thai Naval Dockyard, le costruzioni del tempio buddista nel complesso di Wat Arun e il ponte intitolato a Rama VIII.

L’approvazione c’è, ma è quella dell’autorità sportiva del Paese. Manca ancora il sigillo del governo e soprattutto quello della Federazione Internazionale per il nullaosta definitivo al disegno del tracciato: solo 12 le curve, 7 ad angolo retto, una praticamente a gomito. E c’è perfino un passaggio in rotatoria. Tutto il resto, quasi sei chilometri di pista, è accelerazione.

Singapore e Monte-Carlo, che in termini tecnici rappresentano il termine di paragone per i circuiti in città, si va pianissimo: un anno fa Lewis Hamilton a Marina Bay ha fatto la pole position a 171 orari di media, Mark Webber nel Principato era andato a 161. Per com’è concepita la pista a Bangkok il rischio è correre con la deportanza di Monza mentre le vie di fuga sono quelle di Singapore.

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