Sepang, gerarchie e panni sporchi: colpe e dispetti di casa Red Bull
martedì 26 marzo 2013 · Gran Premi
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Si schivano e non si parlano. Solo una battuta: “Multi 21”. Webber la ripete due volte all’indirizzo di Vettel: è il codice che nel gergo della Red Bull indica il settaggio conservativo coi remi in barca, quello che Seb non ha osservato nell’ultimo stint del Gran Premio di Malesia.
A 12 giri dalla fine Webber esce dal pit-stop con le gomme dure, Vettel arriva di gran carriera con le morbide già calde, con il giro record e la brama di andarsi a riprendere quello che ritiene gli spetti di diritto: la vittoria.
Il team via radio pretende prudenza: “Sta’ attento”, intima. Vettel invece è una furia. Svela Webber: “Due volte la squadra mi aveva rassicurato che non dovevamo abusare delle auto. È un attimo e si perdono i punti. Poi è arrivato Vettel, lui ha il piede pesante”. Ad ogni modo, Mark gli tiene testa con la stessa mossa che ha rifilato a Massa al Fuji nel 2008, e cioè lo stringe verso il muretto dei box. Spietato. Vettel però va al comando e Webber non replica più: “Gli ultimi 15 giri li ho trascorsi tra tanti pensieri”.
Kate Walker riferisce che al traguardo due addetti stampa della Red Bull hanno provato a istruire i ragazzi terribili prima che parlassero ai giornalisti. E la FIA li ha bloccati perché al personale del team non è consentito l’accesso all’area riservata. La squadra insomma ha cercato di smontare il caso per preservare un’armonia di facciata che la freddezza degli sguardi stava già smontando.
Tant’è che Martin Brundle dopo le interviste sul podio annotava: “Sembrava fossi io l’unico felice là in mezzo. E non ho preso né una coppa né lo champagne”. Fernando Alonso nel frattempo metabolizzava la delusione per il ritiro e su Twitter scherzava: “Non sono sul podio e mi sto perdendo un grande momento. Cercherò di non lasciarli più da soli”.
Vettel la portata dei fatti la comprende alla bandiera a scacchi, quando nella radio arriva la voce di Horner: “Dobbiamo parlare”. Sul podio all’inizio svia i commenti: “Oggi c’è caldo, se bisogna spiegarsi lo faremo internamente”. Poi un po’ la volta prende coscienza: “Non era mia intenzione ignorare quella chiamata. L’ho avuta, l’ho sentita. Se non l’ho rispettata è stato perché l’ho fraintesa. Posso solo scusarmi”. In conferenza stampa l’ammissione definitiva: “Ho creato un casino. Mark era molto deluso, devo essere onesto e scusarmi. Ho creato un rischio”.
Superbia, ma non solo. Il caso di Sepang è soprattutto il prodotto della libertà e dell’autonomia che il marchio del toro ha sempre riconosciuto a Vettel anche a costo di squilibrare il box. Per esempio con l’ultimo intervento di Helmut Marko.
Alonso con acidità sottolinea: “Loro dicono che sono sempre super legali, poi si vede quello che fanno”. Episodi di cui il passato della Red Bull è fitto. Anche in Turchia, nel 2010, Webber era davanti e non si aspettava l’attacco di Vettel perché il team gli aveva lasciato intendere che le posizioni fossero congelate. Invece Seb andò all’assalto e ne venne fuori un suicidio. Le parole di fuoco se le buscò Webber per aver opposto resistenza.