Passione e disordine: la tragedia di Buenos Aires

martedì 15 gennaio 2013 · Amarcord
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È il giorno in cui il campionato di Formula 1 assume la sua dimensione mondiale ed esce dall’Europa. È anche il giorno in cui Juan Perón regala all’Argentina la corsa per celebrare Juan Manuel Fangio che torna in pista dopo un anno di stop per incidente.

Il 18 gennaio 1953 a Buenos Aires apre i battenti il circuito che Perón ha fatto costruire appositamente per la Formula 1. All’epoca il tracciato si chiama Autodromo Municipal 17 de Octubre, in memoria del giorno del 1945 in cui Perón era stato rilasciato sotto pressione delle manifestazioni di massa; diventerà Autodromo Juan y Oscar Gálvez alla caduta del peronismo.

La gente freme. In più l’accesso è gratuito. Perciò al richiamo dei motori la risposta è straordinaria: 200 mila tra uomini, donne e bambini. È un numero che l’organizzazione non ha previsto e che non sa gestire.

Il pubblico è dovunque: in tribuna, nei prati, anche a ridosso dell’asfalto. La corsa parte in condizioni di sicurezza precarie che più avanti si fanno paradossali perché i tifosi avanzano ulteriormente verso il centro della pista e le macchine praticamente sfrecciano in mezzo a due ali di folla.

Al giro 20 la macchina di Cruz perde una ruota che finisce nel pubblico e fa diversi feriti. È un campanello d’allarme che nessuno sente. Dieci giri dopo, un bambino attraversa la pista mentre sopraggiunge la Ferrari di Nino Farina che per schivarlo piomba in mezzo ai tifosi e fa nove vittime. L’atmosfera è surreale, ma la gara continua e produce ancora una tragedia quando un’ambulanza travolge altri due spettatori per scansare le auto in gara.

Alla fine vince Alberto Ascari con la Ferrari e con un giro di vantaggio su tutti gli altri. Ciò che resta nelle cronache è il bilancio di un dramma assurdo in un’epoca di corse più passionali e purtroppo anche più disordinate.

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