PHOTO CREDIT · Steve Etherington
Così il digitale ha cambiato la storia della fotografia. Anche in Formula 1
sabato 15 dicembre 2012 · Esclusive
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Un sensore anziché una pellicola. Il digitale ha cambiato l’acquisizione delle immagini, ma ha imposto pure una rivoluzione di approccio. F1WEB.it in due anni ha raccolto i pareri dei fotografi di punta nel paddock dei Gran Premi. Tutti d’accordo sul fatto che il digitale ha segnato una svolta. Anche per loro.
“Due ere diverse”, dice Mirco Lazzari. Perché adesso si tende a scattare più foto. Osserva Jiri Krenek: “Non bisogna risparmiare pellicola. Si prova gratis”.
Tra quotidiani, riviste specializzate e siti internet, “la gente – nota Martin Trenkler – ha sviluppato la necessità di avere tonnellate di immagini al più presto possibile”. Per dare un’idea delle proporzioni, Darren Heath stima: “Hanno cominciato a chiedere centinaia di foto quando solo poco tempo prima ne sarebbero bastate dieci”.
Dal punto di vista prettamente tecnico, alla fine “per esposizione, composizione e soggetto – spiega James Moy – la teoria è la stessa, ma adesso bisogna anche distribuire le immagini”. Perciò Bernard Asset che lavorava già dal 1970, nel nuovo millennio si è dovuto convertire: “Per essere competitivo ho avuto bisogno di un sito web da cui i magazine potessero scaricare le foto”.
Più scatti, ma anche tempi più stretti. “Prima – spiega Steve Etherington – potevano volerci anche 20 minuti per passare solo una foto. Oggi ci vuole un secondo”. E così quando finisce la corsa delle macchine comincia quella dei fotografi. Paul-Henri Cahier fa notare: “Devo lavorare duramente e velocemente dopo ogni gara perché è una lotta sulla velocità”.
Per cui è cambiata anche la vita nel paddock: “Una volta – racconta Peter Nygaard – si mettevano i rullini nella valigia e si sviluppano a casa il lunedì. E le sere durante il week-end di gara ci potevamo rilassare e fare vita sociale. Nell’era digitale dobbiamo modificare e caricare le foto fino a notte fonda, ogni giorno”.
Il lato negativo è anche un altro. Lo sottolinea Filippo Di Mario con rammarico: “Sono cambiati i rapporti e gli interessi. Prima (i media) erano più aperti e c’era anche più rispetto per il nostro lavoro”.