Se i piloti vanno contro la stampa. Quel modo malsano di fare informazione
sabato 20 ottobre 2012 · Media
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Li lascia tutti di stucco, tra giornalisti di web e carta stampata, quando a Singapore tira le orecchie ai media. Jenson Button dà voce a un sentimento condiviso: “I giornali li leggiamo, anche se non lo diciamo. E anche i siti. Però non so quanta verità ci sia“.
Lo spunto gli viene sulla base delle fantasie di mercato. La tradizione impone che ogni organo di stampa ne cacci almeno una all’anno: “Non voglio dire che i giornalisti non scrivano il vero. Però – annota Jenson – la cosa buffa è che non vengono citate le dichiarazioni delle persone coinvolte. Per cui è stupefacente quante storie si scrivano in questo modo”.
La pratica è comune, nelle rete e nei giornali: sparare a manetta titoli e fantasie. Brad Spurgeon sul blog del New York Times a riguardo spiega: “Per il cattivo giornalismo non ci sono scuse”. Ne è infestata la Formula 1. Due esempi dell’anno scorso: la gestione delle informazioni nell’incidente di Kubica e l’intervista farlocca sul ritiro di Schumi. Sempre Spurgeon: “La natura ha l’orrore del vuoto. Che invece creano i piloti e il personale delle squadre quando si rifiutano di raccontare la verità e non concedono nient’altro che risposte stringate perché devono rispettare i contratti o la tempistica degli annunci ufficiali per non rischiare di mandare all’aria le trattative”. Cioè: loro non parlano però la stampa parla per loro.
Dice Kimi Raikkonen: “In Formula 1 puoi dire una cosa e i media possono completamente travisarla per costruirci una storia. E poi spesso raccontano altre cose oltre allo sport”.
Qualcosa da ridire sul metodo della stampa ce l’aveva anche Fernando Alonso nel 2010 dopo quello che per lui era stato un complicatissimo Gran Premio del Belgio: “Mediaticamente, con la Ferrari è tutto un po’ oltre i limiti. Ciò che succede, nel bene e nel male, diventa una montagna. Per esempio se sbagli il via, il giorno dopo sui giornali trovi due pagine con venti partenze sbagliate dei piloti del Cavallino in vent’anni”.
Anche più duro era stato Michele Alboreto nel 1990. Con una critica circoscritta alle penne d’Italia: “Il livello di preparazione dell’80 percento dei giornalisti del nostro paese è bassissimo. Forse perché ce ne sono troppi. Comunque c’è qualcuno molto in gamba che non scrive pensando ai regali che può ricevere. La maggior parte della stampa italiana è prezzolata e, nel migliore dei casi, servile in modo abbietto. Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario”. E adesso, vent’anni dopo, cos’è cambiato?