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Reti di protezione, il rischio è dietro l’angolo. L’allarme di John Watson

martedì 10 aprile 2012 · Dal paddock
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Da quando se n’è andato Ayrton Senna, in Formula 1 gli incidenti sono sempre finiti bene, anche quelli più gravi. “Quindi tanti piloti non sanno cosa significa farsi male. E tante cose che vediamo sono la conseguenza del fatto che loro non capiscono veramente che le corse sono pericolose”.

Parla John Watson su F1 Racing Magazine. Fa un’analisi lucida del livello di sicurezza delle piste. Dice: “Nella Formula 1 di oggi, è raro che si faccia male un pilota, ancora più raro che rimanga ucciso”.

Non vuol dire che il rischio è zero: “Non è così pericoloso com’era una volta, però nonostante tutto il lavoro che è stato fatto per migliorare i circuiti e la sicurezza, le corse restano pericolose“.

La maggior parte delle piste si sta convertendo alle barriere di nuova generazione, a blocchi in schiuma di polietilene con anima di metallo. Ma oltre le barriere, il pericolo sopravvive perché oggi, in termini di sicurezza passiva, l’elemento di rischio maggiore sono le reti di protezione che devono contenere i detriti in caso di incidente e che su certe piste – specialmente su quelle cittadine tipo Monaco, Valencia e Singapore – sono troppo vicine al tracciato.

Spiega Watson: “Se due macchine si agganciano e una va contro le barriere con il lato del cockpit, può finire com’è successo a Dan Wheldon in Indycar“. Wheldon è morto per trauma alla testa, schiacciato contro le reti di protezione dopo un maxi incidente sull’ovale di Las Vegas il 16 ottobre 2011.

Già Paul Tracy, all’indomani della tragedia, faceva notare: “Le reti hanno l’effetto delle tele di ragno, praticamente strappano i pezzi delle macchine e le fanno a brandelli”. All’inchiesta sull’incidente di Wheldon ha partecipato anche la Federazione Internazionale. Perché la FIA comunque l’allarme l’ha recepito e ci sta lavorando.