Gran Premio di Abu Dhabi 2011, qualifiche
sabato 12 novembre 2011 · Roundup
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Quattordici pole position, tante quante ne aveva conquistate Nigel Mansell nel 1992, quando però le corse a calendario erano solo 16 anziché 19: Sebastian Vettel in qualifica a Yas Island schiaccia le McLaren e si fregia di un altro record. La Ferrari rimedia la terza fila e non è mai stata in corsa per la pole.
Mistero. Massa è tornato alla versione standard del musetto. La rossa continua a brancolare nel buio con l’alettone che va in risonanza e vibra alle estremità fino a sbattere sull’asfalto: “È una questione di set-up, di pressione delle gomme e così via, una combinazione di elementi – dice Domenicali – su cui i nostri ingegneri devono indagare”.
Williams. Maldonado è il primo che esaurisce la dotazione degli otto motori ammessi dal regolamento: a causa dei danni al cambio patiti in India, negli Emirati monta un’unità nuova, quindi sconta dieci posti di retrocessione sulla griglia e finisce in ultima fila. Accanto a Barrichello, pure lui frenato per noie di propulsore.
RRA. Le squadre a Yas Island dovevano discutere i vincoli del patto della limitazione delle risorse, alla luce delle nuove accuse mosse alla Red Bull. Il meeting è saltato e non è stata fissata la data per recuperarlo. Ma le squadre si sono definitivamente messe d’accordo sul divieto del soffiaggio in rilascio.
Uomini soli. Hamilton in vena di malinconie: “Vedo il mio compagno Button, viene ai Gran Premi con il papà, la fidanzata, gli amici. Gente che attorno a lui forma come una bolla felice. Anche io l’ho avuta, ma l’ho persa”. Si riferisce al papà che non è più il suo manager e alla relazione che ha troncato con Nicole.
E pace fu. Proton e Fernandes depongono le armi. Dal 2010 si trascinava la battaglia legale per il possesso del marchio Lotus. Fernandes dall’anno prossimo farà correre la squadra sotto le insegne di Caterham, mentre sarà la Renault a impiegare in esclusiva il logo storico di Chapman.
Tangenti e ricatti. Nel processo a carico di Gerhard Gribkowsky, è stato ascoltato un’altra volta Bernie Ecclestone che ammette le bustarelle, ma sostiene di averle pagate sotto ricatto per comprare il silenzio di Gribkowsky che minacciava di indirizzare il fisco inglese nelle indagini sulle sue società off-shore: “Non c’era niente di irregolare, però un’indagine – dice Bernie – poteva essere rischiosa e molto costosa”.