PHOTO CREDIT · Red Bull Racing
Season review 2010, episodio 2: l’anno di Webber
lunedì 29 novembre 2010 · Amarcord
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Circolano storie bizzarre su Mark Webber. Che all’anagrafe abbia più anni di quelli che dichiara, comunque meno di quelli che dimostra. Che nel 1996 abbia guidato tutta la notte da Queanbayan a Melbourne per entrare nel paddock dell’Albert Park per chiedere l’autografo a Schumacher al Gran Premio d’Australia.
Di quella vita gli resta il folle volo alla 24 Ore di Le Mans del 1999. Ne fa un altro, di volo, a Valencia nel 2010 sulla Lotus di Kovalainen. E quella è la prima gara dell’anno in cui non prende punti. Resta a secco un’altra volta soltanto, sotto la pioggia della Corea. Per tutto il resto: “Quest’anno ci sono state tante cose positive”.
Non parte coi favori del pronostico, non parte nemmeno coi favori del team. Però fra Barcellona e Monte-Carlo infila due successi consecutivi e si candida ufficialmente all’iride. È la perturbazione che sconquassa il box delle lattine perché le strategie commerciali di Mateschitz spingono Vettel.
Perciò la Turchia è un macello: Webber è in testa, il team gli chiede di tagliare i giri del motore; Vettel si sente in dovere di attaccare; è uno scontro suicida. La cosa più interessante la fa notare Ross Brawn: “Chi stava davanti secondo me non si aspettava l’attacco. Qualcosa vorrà dire”.
A Milton Keynes fanno un vertice anti crisi. Ne esce una foto farlocca per siglare la pace e un contratto a effetto sedativo che conferma Webber anche per il 2011 e che non cambia il baricentro della squadra. Infatti a Silverstone scoppia un caso quando Horner assegna gli alettoni anteriori. La corsa la vince Mark: “Non male, per essere un numero due”.
Horner mantiene per tutto l’anno la stessa linea: “I piloti corrono alla pari”. Non c’è ordine di scuderia in Brasile. Webber a un amico si fa scappare: “Loro vogliono Vettel campione”. Negli Emirati, succede.