Cinquant’anni fa nasceva Ayrton Senna: “La competizione fatta persona”
domenica 21 marzo 2010 · Amarcord
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Il 21 marzo 1960 nasceva Ayrton Senna. Forse il più forte di tutti i tempi, forse no. Indubbiamente una leggenda. Per l’impegno inflessibile, per la velocità pura, per la spiritualità, per quell’indefinibile malinconia nello sguardo.
Lucio Pascual lo seguì ai tempi dei kart, si ricorda di un giovanotto “attento a ogni dettaglio, che mai avrebbe tollerato una gomma graffiata o altre cose del genere”.
Pronto a battersi sempre e dovunque. Con se stesso, col cronometro, con chiunque. E non soltanto sull’asfalto. Tanto per rendere l’idea, questo è quanto raccontò Ron Dennis nel 2004 a F1 Racing Magazine, a 10 anni dalla scomparsa di Ayrton.
Mi ricordo la prima volta che lo incontrai. Correva in Formula Ford e voleva passare in Formula 3. Gli proposi di assumermi i costi in cambio di un’opzione sui guadagni futuri. Lui mi rispose che si sarebbe pagato da solo la stagione, che non voleva opzioni ma contratti, che sarebbe diventato un pilota di Formula 1.
Pensai: arrogante, il brasiliano. Per lui tutto era competizione, anche le trattative. Si preparava mentalmente, come fosse una gara, riflettendo su ogni mossa. Ci ritrovammo in seguito, quando si era messo in luce alla Lotus. Lui allora abitava a Esher, vicino alla factory. Ricordo che le trattative andarono avanti per giorni. Non riuscivamo a trovare un accordo di tipo fiscale, per una somma di circa mezzo milione di dollari.
(…) Cominciò una specie di braccio di ferro, più per principio che per altro. Alla fine proposi di giocarci il mezzo milione a testa o croce, una cosa che non era in uso in Brasile.
Gli spiegai come funzionava, facemmo delle prove pratiche, poi passammo alla scelta della moneta, che lui fece in un modo assolutamente tecnico, come se si trattasse di una gomma per la gara.
Lanciammo la moneta che finì sotto una tenda. Ci precipitammo. Prima di sollevare la tenda gli dissi: “Se non è piatta, il tiro non vale”. Ma era piatta e aveva perso lui. Credo che nessuno si sia mai giocato tanto con una moneta, ma era l’unico modo per sbloccare quella situazione. Non gli interessavano i soldi, ma non poteva cedere per primo. Era la competizione fatta persona.